Pitt intuì dove stava arrivando. — L'Impero — disse piano.
— Ma c'è di più. Stiamo sollevando l'intera questione morale se dovessimo addirittura averlo, un Impero! Ma se ci liberiamo adesso dell'Impero, a chi vendiamo i nostri prodotti? Francia e Germania e il resto dell'Europa, per non menzionare l'America, sono già lanciati nella produzione industriale.
— I nostri prodotti industriali non sono competitivi rispetto al resto del mondo?
— Il mondo non ne ha bisogno. — Jack attaccò di nuovo il suo boccale di birra, scolandoselo quasi lutto. — Tutti fanno già quello che gli serve. Puoi immaginale qualcuno che voti per noi, se gli raccontiamo cose del genere? Vota per me e io ti libererò dell'Impero. Ma se perdiamo i nostri mercati non so quanti di noi moriranno di fame. Oppure non bisogna dire niente e fare quello che più ci accomoda? Ma si può afferrare una spada per la lama senza tagliarsi? Qualcuno deve pur farlo. E tu credi di saperla usare meglio di qualsiasi altro uomo? Non credi abbastanza in qualche cosa per combattere pur di ottenerla? E che cosa vali, se non lo fai? Prova a immaginare di non avere tanto interesse per una cosa da voler rischiare per ottenerla. Perderesti anche quello che hai già. Posso immaginare cosa ne pensa Emily.
Pitt trasalì, mentre un quadro tutto nuovo della situazione gli si presentava alla mente. — Stai pensando a quello che succederà se ti venisse dato un incarico al governo?
Jack arrossì violentemente, così qualsiasi bugia diventò impossibile. — Veramente, no. Mi hanno domandato di entrare nella Confraternita. Naturalmente non lo farò. — Adesso parlava un po' troppo concitatamente, gli occhi fissi su di lui. — Però mi è stato fatto rilevare molto chiaramente che se non mi schierassi dalla loro parte, quel posto verrebbe preso dai miei avversari.
— Chi è stato a domandartelo?
Jack scrollò la testa, e fu un movimento appena percettibile. — Non posso dirtelo.
Pitt aveva una domanda sulla punta della lingua: era stato Charles Voisey? Ma poi si ricordò che Jack non sapeva quel che era successo a Whitechapel, e forse, per la sua sicurezza, era meglio che continuasse a ignorarlo. Oppure no? Venire a saperlo poteva servire a proteggerlo un po' di più? Oppure rappresentava un pericolo maggiore? Se Voisey sospettava che Jack fosse al corrente della sua posizione di capo della Confraternita, c'era il rischio che lo marchiassero come un altro avversario da distruggere. Eppure, se Jack ignorava ogni cosa, non lo stava mandando allo sbaraglio?
Scostò la seggiola dal tavolo e si alzò, finendo quel che rimaneva del sidro e posando il bicchiere. — Vieni. La strada di casa è lunga, e c'è un traffico incredibile sui ponti a quest'ora di sera. Non dimenticarti Rose Serracold.
— Pensi che abbia ucciso lei quella donna? — Anche Jack si alzò in piedi.
Pitt non rispose fino a quando non si furono aperti un varco fra la folla e si ritrovarono in strada. Adesso il buio era quasi completo. — È stata lei, il generale Kingsley oppure la terza persona che teneva segreta la propria identità — rispose.
— Allora è stata la terza persona — disse subito Jack. — Perché vuoi che un onest'uomo nasconda il proprio nome quando si dedica a qualcosa di bizzarro, forse un po' assurdo, perfino patetico, ma assolutamente legale come una seduta spiritica? — Adesso la sua voce si stava caricando di entusiasmo. — È evidente che c'è sotto dell'altro. Magari tornava indietro dopo che tutti se n'erano andati, e aveva una relazione segreta con lei. Forse quella donna lo ha ricattato, e allora lui l'ha uccisa per farla tacere. Non c'era modo migliore di nascondere lo scopo delle sue visite che andandoci apertamente con altre persone. Bastava che fingesse di voler evocare lo spirito del bisnonno, o quello che preferisci. Sciocco ma innocuo.
— A quanto pare non cercava il contatto di nessuno spirito particolare. Sembrava uno scettico.
— Ancora meglio. Stava cercando di screditarla, di provare che era una truffatrice. Non doveva essere difficile. Il solo fatto che non l'abbia smascherata fa pensare a un altro movente.
— Forse — ammise Pitt mentre passavano sotto un lampione. Stava levandosi un po' di vento. Soffiava dal fiume. L'aria era acre e mozzava il respiro in gola, mentre s'incamminavano fianco a fianco verso il ponte.
Pitt dormì male. Il silenzio in casa era opprimente, e dava un senso di vuoto, non di pace. Si svegliò tardi, con la testa che gli doleva, ed era seduto al tavolo di cucina quando suonarono alla porta.
Fuori, sul gradino, c'era Tellman con aria infreddolita, benché la mattinata fosse mite e le nuvole, alte nel cielo, cominciassero già a diradarsi. A mezzogiorno ci sarebbe stato un bel sole e avrebbe fatto caldo.
— Cosa c'è? — domandò Pitt, tirandosi indietro in un tacito invito a entrare. — A giudicare dalla vostra faccia, niente di buono.
L'ispettore varcò la soglia, l'aria cupa, la faccia indurita. Si guardò in giro come se per un momento avesse dimenticato che Gracie non poteva essere lì. — È possibile che abbiamo trovato l'uomo indicato nel libro degli appuntamenti con un disegnino... come dicevate... un cartiglio? — rispose con una voce che cercava, senza riuscirci, di rendere inespressiva.
— Oh!
Nella stanza il silenzio era greve. Tellman alzò la testa. — Quadra con la descrizione — disse piano. — Altezza, età, corporatura, capelli, perfino la voce: così dice l'informatore. Suppongo che sia lui, altrimenti il sovrintendente Wetron non ce l'avrebbe passata.
— Cosa gli fa pensare che sia proprio quello giusto invece di un altro qualsiasi di quel migliaio di uomini per i quali la descrizione può essere calzante? — domandò Pitt. — Tutto quello che noi abbiamo è quanto segue: statura media, età che probabilmente si aggira sui sessant'anni o poco più, né magro né grasso, capelli grigi. Come lui devono esserci migliaia di uomini, anzi decine di migliaia, a una distanza raggiungibile con un treno da Southampton Row. — Si protese attraverso il tavolo. — Cos'altro c'è? Perché proprio lui?
Tellman non batté ciglio. — Perché è un professore in pensione, a quanto pare, che ha appena perduto la moglie dopo una lunga malattia. Tutti i loro figli sono morti giovani. Lui non ha nessun altro, e ha reagito molto male a quest'ultimo lutto, soffrendoci moltissimo. Così... ecco... diciamo che ha cominciato a comportarsi in un modo... un po' strano. Va in giro attaccando discorso con le ragazze, come se stesse cercando di ritornare a. un passato che non esiste più. Alle sue creature morte, suppongo. Ha cominciato a far chiacchierare la gente.
— Dove abita? — domandò Pitt in tono scontento. Perché Wetron pensava che quel disgraziato avesse qualcosa a che vedere con la morte di Maude Lamont? — Nelle vicinanze di Southampton Row?
— No. A Teddington.
Pitt credette di non aver sentito bene. Teddington era un villaggio a diversi chilometri oltre Kew, perfino oltre Richmond, risalendo il Tamigi. — Come avete detto?
— A Teddington. Poteva arrivare in città col treno senza problemi.
— E perché diavolo avrebbe dovuto farlo? — domandò Pitt, incredulo. — Gli spiritisti non sono abbastanza comuni? Perché proprio Maude Lamont? E poi, non è un po' costoso per un insegnante a riposo?
— Questo è quanto. — Tellman era a disagio. — Ancora oggi gode di una certa fama come filosofo, ed è molto rispettato. Scrive testi importanti, che dicono una parola definitiva su determinati argomenti. Oscuri, ma è logico che lo siano per la maggioranza di noi. Però i suoi discepoli, che studiano le sue opere, ne hanno un'opinione altissima.
— Anche avendo i mezzi per farlo, questo non basta ugualmente a spiegare il lungo viaggio fino in città per consultare una medium le cui sedute vanno avanti fin quasi a mezzanotte — obiettò Pitt.
— Lo si potrebbe spiegare se foste una specie di ecclesiastico, ormai anziano, che si è fatto una reputazione con idee originali sulla fede cristiana. Se dovessi decidere di andare in cerca delle risposte che cercate da donne che sputano fuori bianco d'uovo e quella mussolina che serve per avvolgere le forme di formaggio, e affermano che invece è tutta opera degli spiriti, mi preoccuperei di cercare quelle risposte il più lontano possibile da casa mia. Non mi meraviglia che andasse e venisse dalla porta del giardino e non volesse neanche dire alla signorina Lamont come si chiamava.
D'un tratto, per Pitt fu tragicamente chiaro. Era un vecchio rimasto privo di tutte le cose che aveva amato. Il colpo finale della morte della moglie aveva fatto crollare il suo equilibrio psichico. Tellman lo stava scrutando, in attesa della risposta.
— Andrò a fargli visita — disse, poco soddisfatto. — Come si chiama? E a Teddington dove abita?
— Al numero quattro di Udney Road, a poche centinaia di metri dalla stazione. Quella della South West Line, per la precisione.
— E il suo nome?
— Francis Wray.
Pitt pensò a quello strano disegno con la lettera ricurva dentro il cerchio, come una "P a rovescio. Adesso si spiegava meglio il malcontento di Tellman e per quale motivo non poteva accantonare quell'indizio, anche se avesse voluto. — Cos'hanno scoperto i vostri uomini sugli altri clienti? — gli domandò dopo un momento.
— Niente di importante. Persone di tutti i generi. Quel che hanno più o meno in comune sono i soldi e tempo a sufficienza da spendere per dare la caccia a segni o indicazioni di altro genere da parte dei defunti. Qualcuno è solo, altri sono confusi e sentono il bisogno di sentirsi confermare che il marito o il padre continuano a sapere cosa sta succedendo e che li ama. — La voce dell'ispettore diventava sempre più sommessa. — Molti sono soltanto curiosi, in cerca di un po' di emozione, o vogliono divertirsi in un certo modo.
— Siete riuscito a sapere qualcosa degli altri che entravano dalla porta del giardino comunicante con Cosmo Place?
— No. Non conosco nessun modo di trovarli. Da dove si può cominciare?
— Sappiamo più o meno l'ammontare della cifra che Maude Lamont guadagnava per tutto questo?
— Almeno quattro volte quello che guadagno io, perfino con la promozione.
— Sempre poco, se pensiamo cosa doveva costarle il mantenimento di quella casa e di un guardaroba come il suo.
— Ricatto? — replicò Tellman senza esitazione. La sua faccia si trasformò in una maschera di disgusto. — Non era abbastanza abbindolarli in quel modo? Doveva anche farli pagare per mantenere il silenzio sui loro segreti? Bisogna proprio dire che certa gente si mette così d'impegno a farsi assassinare, e c'è da meravigliarsi che qualcuno abbia aspettato così tanto.
— Questo non cambia niente, per quanto ci riguarda. Noi dobbiamo scoprire chi l'ha uccisa. Mi piacerebbe poter dire che la giustizia colpisce sempre nel modo più corretto e distribuisce punizioni o pietà secondo quanto si merita, ma so che questo non succede mai. D'altra parte consentire la vendetta privata o cercare scampo da tutto e da tutti, salvo dalla minaccia alla propria vita, sarebbe come aprire la strada all'anarchia.
— Lo so.
— Nient'altro dalla cameriera?
— Niente di utile. Nel complesso sembrerebbe una donna abbastanza di buonsenso. Secondo me, però, ne sa di più di quello che dice sulle sedute spiritiche e su come venivano organizzate. Era l'unica che fosse sempre presente in casa. Tutti gli altri domestici, cuoca, guardarobiera e giardiniere, venivano a lavorare a giornata e se ne andavano prima che le sedute private avessero inizio.
— Non potrebbe essere stata ingannata anche lei come gli altri?
— È una donna senza grilli per la testa — obiettò Tellman. — Non si sarebbe lasciata abbindolare da trucchi come pedali, specchi, liquidi fosforescenti e tutto quel genere di cose.
— Molti di noi hanno la tendenza a credere a quello che vogliono credere. Specialmente se è importante. A volte è un'esigenza tanto pressante che non abbiamo il coraggio di non crederci, altrimenti i nostri sogni andrebbero in fumo, e senza i sogni si muore. La saggezza e il buonsenso c'entrano poco. È una questione di sopravvivenza.
Tellman adesso lo guardava con tanto d'occhi. Evidentemente non gli era balenato che Lena Forrest potesse avere anche lei dubbi e affetti, persone ormai morte che erano strettamente intessute nella trama della sua vita e di ciò che per lei poteva avere un significato. Diventò rosso per quest'omissione e bastò perché la simpatia che Pitt aveva per lui aumentasse.
Si alzò lentamente in piedi. — Andrò a far visita a questo signor Wray — disse. — Teddington, eh? C'è da pensare che Maude Lamont avesse una certa rinomanza perché qualcuno venisse da lei sobbarcandosi addirittura il viaggio da Teddington a Southampton Row. Cosa ne pensate?
Tellman non rispose.
Pitt non perse tempo a riflettere sull'approccio da usare con il reverendo Francis Wray, una volta che l'avesse trovato. Qualsiasi cosa gli potesse dire, sarebbe stato un incontro sgradevole e poco soddisfacente.
Si avviò alla stazione ferroviaria e chiese informazioni sul percorso migliore per raggiungere Teddington. Si sentì spiegare che avrebbe dovuto cambiare treno, ma che il primo col quale poteva dare inizio al suo viaggio era in partenza di lì a undici minuti. Acquistò un biglietto, ringraziò l'uomo e si avviò al marciapiede indicatogli. C'erano già in attesa due donne anziane e una famiglia chiaramente in partenza per una scampagnata. I bambini erano eccitati e continuavano a saltare su e giù, senza mai smettere di cinguettare neanche per un momento.
Pitt si domandò quanto Daniel, Jemima ed Edward si godessero il Devon, se gli piaceva la campagna o se la trovavano molto diversa da quello a cui erano abituati, oppure strana e insolita, e se soffrivano per la mancanza dei soliti amici. E la sua mancanza? Era stato costretto a rimanere lontano da loro troppo spesso, negli ultimi tempi; prima Whitechapel e adesso tutto questo... Quando la questione di Voisey si fosse conclusa, che avessero scoperto o no chi aveva ucciso Maude Lamont, doveva fare il possibile per prendersi uno o due giorni di libertà, di tanto in tanto, da trascorrere con loro. Narraway glielo doveva.
Non osava neanche pensare troppo, e troppo seriamente, a Charlotte. La sua lontananza gli dava una sensazione di struggimento e un dolore tali da non riuscire a ricacciarli in fondo al cervello né mettendosi d'impegno a riflettere su altro né buttandosi a capofitto nel lavoro. Perfino i sogni si lasciavano indietro un sottile tormento che faceva male.
Il treno per Teddington arrivò rombando fragorosamente, avvolto da una nuvola di vapore e accompagnato dal frastuono di ruote di ferro su rotaie di ferro; e il momento della separazione gli tornò tanto intenso e acuto alla memoria da provare quasi l'impressione che Charlotte lo avesse lasciato, partendo, appena un momento prima.
Il viaggio non fu lungo. Quaranta minuti, ed era a Teddington. Come Tellman gli aveva detto, Udney Road era appena a un isolato dalla stazione, e pochi minuti di cammino lo portarono al cancelletto civettuolo del numero quattro. Rimase a fissarlo nel sole per qualche istante, aspirando il profumo di una dozzina di piante fiorite di ogni genere, e l'odore fragrante e genuino della terra scaldata dal sole e innaffiata di recente. Così pieno di memorie, così domestico...
A una prima occhiata il giardino sembrava coltivato a casaccio, e appariva quasi fin troppo folto di vegetazione, ma lui sapeva quanti dovevano essere stati gli anni dedicati alle sue cure per mantenerlo in quelle condizioni. Era Francis Wray in persona a occuparsene oppure un giardiniere? In questo secondo caso, qualunque fosse il suo guadagno, la vera ricompensa stava nella sua arte.
Alzò il paletto del piccolo cancello ed entrò, richiudendolo alle sue spalle, e s'incamminò per il vialetto. Un gatto nero stava allungato al sole sul davanzale di una finestra, un altro color tartaruga girellava sotto l'ombra a chiazze di una tarda fioritura di bocche di leone. Pitt pregò in cuor suo che quella in cui stava per imbarcarsi non fosse un'impresa inutile. Bussò alla porta, che gli venne aperta da una ragazza vestita da cameriera. Non poteva avere più di quindici anni.
— È questa la casa del signor Francis Wray?
— Sissignore. — Si capiva che era sconcertata perché lui non faceva parte delle persone che venivano abitualmente in visita e che lei conosceva. — Se volete aspettare qui, vado a vedere se c'è e può ricevervi.
— Posso aspettare in giardino? — domandò Pitt, voltandosi a contemplare di nuovo i fiori.
La faccia della ragazza s'illuminò di sollievo. — Sissignore. Certo che potete. Lo tiene proprio bene, vero? — Sbatté le palpebre, come se le fossero salite le lacrime agli occhi. Pitt ne concluse che il professore si era buttato a capofitto nel giardinaggio, dopo il lutto che lo aveva colpito.
Non dovette rimanere a lungo sotto il sole a osservare il gatto color tartaruga perché Wray uscì quasi subito e gli venne incontro sul vialetto. Era di statura media, almeno otto o dieci centimetri più basso di lui, anche se da giovane probabilmente era stato più alto. Adesso le spalle erano ingobbite, la schiena un po' curva, ma era soprattutto la faccia a portare i segni indelebili di una profonda sofferenza interiore. Aveva gli occhi infossati, dal naso alla bocca gli scendevano rughe profonde e la pelle, fragile come carta, appariva tagliuzzata qua e là dal rasoio.
— Buongiorno, signore — disse piano, con una voce di singolare bellezza. — Mary Ann mi dice che volete parlarmi. Sono Francis Wray. Cosa posso fare per voi?
Per un momento Pitt pensò di raccontargli una bugia. Ma cambiò subito idea. Quell'uomo poteva essere il Cartiglio, e se non era lui l'assassino, poteva almeno offrirgli un altro ricordo non soltanto dell'ultima serata, ma anche di altre occasioni in cui era stato da Maude Lamont con Rose Serracold e il generale Kingsley. Tenendo conto che aveva passato una vita nella Chiesa, c'era da pensare che fosse un profondo conoscitore della natura umana.
— Buongiorno, signor Wray — disse. — Il mio nome è Thomas Pitt. — Non sopportava di sentirsi costretto ad affrontare subito l'argomento della morte di Maude Lamont, ma non aveva nessuna ragione per fare perdere del tempo a Wray o per essere entrato in casa sua. — Sto cercando di essere di aiuto in una recente tragedia avvenuta in città, una morte in circostanze molto spiacevoli.
La fronte di Wray si aggrottò per un attimo, ma la simpatia nei suoi occhi non era falsa. — In tal caso farete meglio a entrare, signor Pitt. Se siete venuto da Londra, forse non avete ancora pranzato. Sono sicuro che Mary Ann potrebbe trovare quanto basta per due persone. Vi accontentate di un pasto semplice e modesto?
A Pitt non rimase altra scelta che acconsentire. — Grazie. — Seguì il padrone di casa lungo il vialetto e oltre la porta, osservando rapidamente l'anticamera mentre l'attraversava, diretto verso lo studio e fermandosi un momento ad aspettare, intanto che Wray parlava con Mary Ann. Appesi alle pareti c'erano lucenti ferri da cavallo in ottone e, sempre in ottone, un elaborato portaombrelli, e poi ancora un sedile in legno scolpito, che a una prima occhiata sembrava in stile Tudor autentico, e parecchi deliziosi disegni di alberi dai rami spogli.
Mary Ann scappò in cucina e il professore tornò indietro, notando cosa stavano osservando gli occhi del suo visitatore.
— Vi piacciono? — domandò gentilmente, la voce vibrante di commozione.
— Sì, moltissimo. La bellezza di un tronco nudo è grande quasi come quella di un albero completamente coperto di foglie.
— Siete capace di accorgervi di una cosa del genere? — Per un istante la faccia di Wray s'illuminò di un sorriso che sembrava uno squarcio di sole in una giornata di primavera. Poi svanì di nuovo. — Sono della mia defunta consorte. Lei aveva il dono di vedere le cose come realmente sono.
— E anche il dono di saper tradurre tanta bellezza perché gli altri potessero comprenderla — osservò Pitt, e subito se ne pentì, pensando che quell'uomo, se era andato da una medium nella speranza di ritrovare di nuovo qualcosa delle persone che aveva amato, si comportava come una contraddizione vivente di tutto quanto la sua vita e la sua fede gli avevano insegnato.
— Grazie — mormorò Wray precedendolo nello studio, una stanzetta con troppi libri, un busto in gesso di Dante su un pilastrino, un acquerello che rappresentava una donna giovane, con i capelli castani, mentre sorrideva con timidezza a chi la contemplava. C'era un vaso d'argento pieno di rose di tutti i colori, mescolate alla rinfusa, in equilibrio precario sulla scrivania, un po' troppo vicino al bordo. A Pitt sarebbe piaciuto leggere i titoli di alcuni di quei libri, ma ebbe soltanto il tempo di osservarne tre: le Storie di Flavio Giuseppe, Imitazione di Cristo di Tommaso di Kempis, e un commentario sulle opere di Sant'Agostino. — Accomodatevi, prego, e ditemi in che cosa posso aiutarvi — disse Wray. — Ho tempo in abbondanza, e niente al mondo di più utile con cui occuparlo.
Ormai non era più possibile evitare una risposta diretta. — Conoscete per caso il generale Kingsley? — cominciò Pitt.
Il professore ci pensò per un momento. — Mi sembra di ricordare il nome.
— Un gentiluomo, alto di statura, tornato dal servizio militare che ha svolto in massima parte in Africa — soggiunse Pitt per inquadrarglielo meglio.
— Ah sì, naturalmente. Le guerre con gli zulu? Ha servito la patria in modo molto onorevole, a quanto ricordo. No, non l'ho mai conosciuto personalmente. E mi spiace moltissimo di sentire che l'ha colpito un'altra tragedia. So che aveva perduto il suo unico figlio.
— Non è una perdita di una persona cara, questa — si affrettò a spiegare Pitt. — È stato presente poco prima che qualcuno morisse... qualcuno da cui era andato nel tentativo di trovare conforto per la morte del figlio... o il modo in cui è morto. — Deglutì a fatica, continuando a fissare Wray in faccia. — Una medium, una spiritista.
L'anziano signore s'incupì, aggrottando le sopracciglia. — Alludete a una di quelle persone che sostengono di essere in contatto con gli spiriti dei defunti, e chiedono soldi a persone vulnerabili per emettere voci e lanciare segnali? — Non avrebbe potuto formulare più chiaramente il disprezzo che provava nei loro confronti. — È una cosa molto pericolosa da fare, signor Pitt. Non auguro del male a nessuno, ma è meglio che simili attività cessino, anche se non vorrei assolutamente che questo fosse stato ottenuto con la violenza.
Pitt era sconcertato. — Pericoloso, signor Wray? Forse non mi sono spiegato bene. Lei è stata uccisa con mezzi totalmente umani. In quello che è successo non c'è stato niente di occulto. Quel che vorrei sapere è se siete in grado di parlarmi della vostra conoscenza delle altre persone che erano presenti, non dei relativi concetti teologici.
— Voi siete un uomo del vostro tempo, signor Pitt. La scienza è l'idolo che adesso adoriamo, ma i poteri del bene e del male sono sempre lì, quale che sia la maschera del giorno che gli mettiamo. Presumete che questa medium non abbia i poteri di toccare ciò che c'è al di là della tomba, e probabilmente avete ragione, ma questo non vuol dire che non esistano.
Pitt sentì un gelo nel calore della stanza e capì che era dentro di sé. Era stato troppo pronto a provare simpatia per quell'uomo. Lui era vecchio, pieno di fascino, gentile e generoso nei modi, soffriva di solitudine e lo aveva invitato a pranzo. Amava il suo giardino e i suoi gatti. Credeva anche nelle possibilità di evocare gli spiriti dei morti ed era profondamente adirato con coloro che tentavano di fare una cosa del genere. Ma lui doveva, come minimo, scoprire perché.
— È stato il peccato di Saul — continuò Wray con aria grave. — Il re Saul della Bibbia. Lui cercò lo spirito del profeta Samuele per il tramite della strega di Endor.
— Oh. E riuscì a trovarlo?
— Oh sì, naturalmente. Ma è stato il seme di quel senso di sfida che c'era nella sua natura, l'orgoglio contro Dio che, in conclusione, era fatto soltanto di rabbia e invidia e peccato fino alla morte. Non sottovalutate mai il pericolo di voler conoscere quel che non dovrebbe essere conosciuto, perché esso porta con sé un male mostruoso.
— Non ho il minimo desiderio di indagare in un campo simile — disse Pitt onestamente. — Spero che se dovessi perdere qualcuno che mi è infinitamente caro cercherei nella fede il conforto di una resurrezione secondo le promesse divine — soggiunse, imbarazzato di scoprire che gli tremava la voce. Osservò l'uomo anziano, distrutto dal dolore, che aveva davanti. In una situazione come la sua si sarebbe comportato diversamente? — Almeno è quello che spero. Ma naturalmente non lo so.
Gli occhi di Wray si colmarono di lacrime che gli scesero giù per le guance senza che cercasse di trattenerle. — Avete famiglia, signor Pitt?
— Sì. Ho moglie e due figli.
— Siete fortunato. Non lasciate mai passare un giorno senza ringraziare Dio per quello che vi ha dato.
Pitt si impose con uno sforzo di riportare il cervello al motivo della sua presenza lì. Doveva convincersi una volta per tutte che il suo ospite non avrebbe potuto essere l'uomo rappresentato da quella specie di geroglifico nell'agenda degli appuntamenti di Maude Lamont. — Mi ci proverò — promise. — Disgraziatamente mi occorre ancora fare quello che posso per dare una spiegazione alla morte di Maude Lamont e impedire che la persona sbagliata venga imputata di averla uccisa.
— Se è stato fatto in un modo illegale e contrario alla giustizia, è di certo qualcosa che riguarda la polizia, per quanto doloroso possa essere. Comprendo perfettamente che sia vostro desiderio non vederli implicati in tutto questo, ma ho paura che non abbiate una scelta, moralmente parlando.
Pitt provò un fremito, perché si vergognava di condurre volutamente quell'uomo in una direzione sbagliata. — Sono già coinvolti, signor Wray. Ma una delle persone presenti alla seduta di quell'ultima sera è la moglie di un candidato a un seggio in Parlamento e un altro è qualcuno che vuole tenere segreta la propria identità, e finora c'è riuscito.
— E voi volete sapere chi è? — disse Wray in un lampo di lucidità sorprendente. — Anche se lo sapessi, signor Pitt, e perfino se mi venisse raccontato in confidenza, non vi passerei mai quel segreto. Il meglio che potrei fare sarebbe dirgli con tutta la mia forza di persuasione di essere onesto con voi. Ma d'altra parte, a quel punto, gli avrei già consigliato con ogni argomentazione e supplica in mio potere di non aver niente a che fare con una pratica pericolosa e perversa come quella di interferire nella conoscenza dello spirito dei defunti. L'unica conoscenza giusta e corretta in cose del genere si ottiene per mezzo della preghiera. — Scrollò piano la testa. — Perché siete stato indotto a credere che io potessi esservi di qualche utilità? Non lo capisco.
Pitt cercò di improvvisare, inventando qualcosa lì per lì. — Avete fama di essere un conoscitore dell'argomento, e anche di manifestare opinioni molto decise e contrarie a pratiche simili. Pensavo che avreste potuto fornirmi qualche informazione che mi fosse di aiuto sulle caratteristiche dei medium, e in particolare della signorina Lamont. Lei ha una reputazione molto vasta.
Il professore sospirò. — Purtroppo ho paura che la mia conoscenza in materia sia di carattere generale, e non particolare. E negli ultimi tempi la mia memoria non è più stata quella di un tempo. Dimentico le cose, e mi spiace dire che ho la tendenza di ripetermi. Racconto fin troppe volte le battute di spirito che mi piacciono, e la gente è sempre molto gentile con me, anche se preferirei il contrario.
Pitt sorrise. — Con me non vi siete ancora ripetuto in nessun argomento.
— Non vi ho neanche raccontato una barzelletta — disse Wray in tono triste. — E ancora non abbiamo pranzato, e senza dubbio vi mostrerò ogni fiore un paio di volte, come minimo.
— Un fiore merita di essere ammirato come minimo un paio di volte.
Qualche minuto più tardi Mary Ann entrò ad annunciare, con una voce che aveva una sfumatura di nervosismo, che il pranzo era servito. E loro si trasferirono nella piccola sala da pranzo dove evidentemente la ragazza si era fatta premura di rendere tutto ancor più attraente. C'era una brocca di ceramica piena di fiori in mezzo alla tavola e sulla tovaglia accuratamente stirata erano disposti i piatti in porcellana dal bordo blu e le posate d'argento, antiche e ben lucidate. Servì una densa zuppa di verdura, accompagnata da pane croccante, burro, un morbido formaggio bianco di campagna e sottaceti fatti in casa che a Pitt sembrarono pezzi di rabarbaro. Tutto questo bastò a fargli misurare fino a che punto sentisse la mancanza di tanti piccoli tocchi domestici in casa propria, adesso che Charlotte e Gracie erano lontane. Il dolce fu una crostata alle prugne con l'aggiunta di panna rappresa da versarci sopra.
Wray sembrò contento di mangiare in silenzio. Dopo si alzarono per andare ad ammirare il giardino. E fu solamente allora che Pitt vide su un tavolino di servizio un opuscolo pubblicitario che vantava i poteri di Maude Lamont, nel quale lei si offriva di evocare, a chi li avesse perduti, gli spiriti dei cari defunti in modo che loro parlassero di tutte quelle cose preziose e importanti che una morte intempestiva aveva messo a tacere.
Il padrone di casa lo precedeva, ed era già uscito sotto il sole che illuminava con la sua luce abbacinante quel tripudio di fiori colorati e il nitido candore della vernice con cui lo steccato era dipinto. Quasi inciampando sulla soglia della portafinestra, Pitt lo seguì.
8
Il vescovo Underhill non dedicava mai molto tempo ai colloqui con i singoli parrocchiani. E quando lo faceva si trattava di occasioni formali: matrimoni, cresime, di tanto in tanto un battesimo. A ogni modo, faceva parte della sua missione essere disponibile alle consultazioni da parte dei membri del clero, e quando costoro si ritrovavano con un greve fardello spirituale da portare era giusto che venissero da lui per aiuto e conforto.
Isadora era abituata a vedere uomini ansiosi di tutte le età, dai curati sopraffatti dalle responsabilità, o tanto ambiziosi da desiderarne altre, ad anziani ecclesiastici i quali a volte si accorgevano di come amministrare e curarsi del loro gregge fosse più di quanto erano preparati ad affrontare. Soprattutto lo intimoriva chi aveva perduto la moglie o un figlio e veniva a cercare una consolazione più grande e qualcosa che rafforzasse la sua fede più di quello che i riti giornalieri potevano fare.
Quel giorno c'era in visita il reverendo Arthur Patterson, la cui figlia era morta di parto, un uomo anziano col corpo scarno, la testa china, la faccia in parte nascosta dalle mani. Isadora entrò con il vassoio del tè e lo appoggiò su un tavolino; non rivolse la parola a nessuno dei due uomini, ma si limitò a riempire in silenzio le tazze.
— Pensavo che avrei capito — disse Patterson con voce carica di disperazione. — Sono ministro della Chiesa da quasi quarant'anni! E Iddio sa quante sono le persone che ho confortato nel loro lutto. Adesso tutte quelle parole che ho pronunciato con tanta premura non significano niente per me. — Alzò la testa, scrutando attentamente il vescovo. — Perché? Perché non ci credo, quando le dico a me stesso?
Isadora aspettò che il marito rispondesse che tutto questo si spiegava con lo shock e il risentimento di fronte al dolore. Che doveva darsi tempo per guarire. La fede non è una certezza, e credere non sempre annulla la sofferenza.
Si sarebbe detto che il vescovo fosse in cerca delle parole con cui rispondere. Respirò a fondo e poi emise un sospiro. — Mio caro, tutti noi dovremo affrontare grandi prove di fede nella nostra vita. Sono sicuro che sarete all'altezza di quella che dovete affrontare con tutta la solita forza d'animo. Siete un uomo buono, dovete averne la certezza.
— Se sono un uomo buono, perché mi è successa una cosa simile? E perché non provo altro che confusione e sofferenza? Perché in questo non riesco a vedere la mano di Dio, e non trovo neanche un soffio del divino?
— Il divino è un mistero infinito — rispose il vescovo, fissando al di sopra della testa di Patterson il muro di fronte, la faccia che esprimeva un turbamento profondo, lo sguardo vacuo. — La sua comprensione va oltre di noi. Forse non siamo destinati a comprendere.
Adesso l'angoscia deformava i lineamenti di Patterson, che parlò con voce strozzata. — Non ha nessun senso tutto questo! Un giorno lei era viva... la sua creatura dentro di lei. Era radiosa al pensiero che il momento della nascita stava per arrivare... e poi nient'altro che sofferenze e morte. Come può essere? Non ha senso! È crudele, stupido e inutile, come se l'universo non avesse nessun significato. — Ricacciò in gola un singhiozzo. — Perché ho passato la mia esistenza a dire alle persone che c'è un Dio giusto e pieno di amore, che tutto fa parte di uno schema perfetto che un giorno vedremo, e poi quando io ho bisogno di saperlo per me stesso... nient'altro che tenebre e silenzio? Perché? Perché? Tutta la mia vita è stata una farsa? Ditemelo voi?
— Mio caro... — farfugliò il vescovo. — Mio caro... questi sono tempi bui. Li abbiamo tutti, tempi nei quali sembra che il mondo sia mostruoso. La paura copre ogni cosa come una notte che sta calando e non c'è alba... che sia... immaginabile.
Isadora non riuscì a sopportarlo. — Signor Patterson, naturalmente la sensazione del vuoto che lascia chi abbiamo perduto è terribile — si affrettò a intervenire. — Se li amate sinceramente, la loro morte non può non fare male, soprattutto se queste persone sono giovani. — Avanzò di un passo, ignorando l'espressione sbalordita del marito. — Ma perdere una persona cara fa parte della nostra umana esperienza, come Dio intendeva che dovesse essere. E il fatto che ci faccia soffrire fino al limite della nostra capacità di sopportazione è il punto focale di tutto questo. Alla fine, tutto si riduce a una domanda. Credete in Dio oppure no? Se credete, ecco che potete sopportare il dolore fino a quando non riuscite a superarlo. Se non credete, allora farete meglio a cominciare a riflettere per capire in che cosa credete esattamente, e questo è un esercizio che vi porterà a guardare fino in fondo alla vostra anima. Penso che la vostra esperienza di vita vi dirà che lì c'è la vostra fede... non sempre, ma per la maggior parte del tempo. E anche soltanto questo è già abbastanza.
Patterson alzò gli occhi stupito. Sembrava che l'angoscia di prima fosse scomparsa, almeno momentaneamente, mentre cominciava a riflettere su quanto Isadora aveva detto. Anche il vescovo si voltò a guardarla, l'espressione incredula e un po' inebetita come quando dormiva.
— Ecco, Isadora, veramente... — cominciò, e tacque subito. Era fin troppo chiaro che non sapeva come affrontare né lei né Patterson, ma soprattutto che c'era qualcosa nel segreto del suo io che lo turbava profondamente.
Lei si rivolse a Patterson. — Le persone non muoiono perché sono buone o cattive — disse con fermezza. — E certamente non muoiono per punire gli altri. Quanto a noi, l'unica cosa alla quale sappiamo di doverci aggrappare è che Dio ha il controllo di un più grande destino e noi non abbiamo bisogno di sapere quale sia questo destino, ma soltanto di aver fiducia in Lui.
Patterson sbatté le palpebre. — Lo fate sembrare così semplice, signora Underhill.
— Forse. — Lei sorrise, pensando con un'improvvisa desolazione alle proprie preghiere senza risposta, al senso di solitudine che a volte diventava quasi insopportabile. — Semplice, ma non facile. È quello che dovrebbe essere fatto.
— Siete molto saggia, signora Underhill. — Patterson alzò gli occhi a guardarla cercando di leggere sulla sua faccia quale era stata l'esperienza che le aveva insegnato cose simili.
Lei voltò le spalle. Era qualcosa che la rivelava troppo vulnerabile per poterne mettere a parte un'altra persona. Nessuna donna che avesse un matrimonio felice doveva portare dentro di sé tanta desolazione. — Vi prego, bevete il tè finché è caldo. Non risolve i problemi, ma ci aiuta a tentare di affrontarli meglio.
Senza aspettare risposta lasciò la stanza. Ma appena fuori, in anticamera, si sentì sopraffatta dalla sensazione di essersi comportata da intrusa. Mai, in tutta la sua vita di moglie, aveva usurpato in modo simile il ruolo di suo marito. A lei toccava quello di sostenere, dare appoggio, essere leale e piena di discrezione. Così, invece, lo aveva fatto apparire disperatamente incapace di mostrarsi all'altezza della situazione di fronte a un altro ecclesiastico, per di più di grado inferiore... No, non era giusto. Reginald si era effettivamente dimostrato incapace di affrontare quella situazione! Non era stato per colpa sua che era successo. Ma perché? Cosa c'era mai che non funzionava in Reginald? Perché non era stato capace di affermare con appassionata sicurezza che Dio amava ogni uomo, donna e bambino, e quando la capacità di comprenderlo veniva a mancare, allora doveva essere la fiducia a sostituirla? Ecco ciò che significa la fede.
Era tornata nel suo salotto quando sentì Patterson che se ne andava e capì che nel giro di qualche minuto il marito sarebbe venuto per costringerla ad ammettere di essersi comportata da intrusa, poco prima. Invece un quarto d'ora dopo stava ancora aspettandolo. Finalmente lui entrò. Era pallido e lei si preparò a un'esplosione indignata di risentimento perché si considerava offeso, ma le parole di scusa le morirono in gola.
— Mi sembri esausto — osservò con minor premura e simpatia di quanto sapeva che avrebbe dovuto provare, cosa di cui si vergognava sinceramente. — Ti sei fatto male a quella spalla? — domandò poi, cercando di riparare all'indifferenza di poco prima. Aveva notato che lui trasaliva e si massaggiava il braccio, mentre cambiava leggermente posizione.
— Un piccolo attacco di reumatismi — le rispose. — Molto doloroso. — Sorrise, ma fu qualcosa di forzato che si spense quasi subito. — Devi parlare alla cuoca. Da un po' di tempo la sua cucina non è più all'altezza. In vita mia non ho mai sofferto tanto di cattiva digestione.
— Magari una zuppa leggera di latte e fecola? — suggerì Isadora.
— Non posso vivere di pappette per il resto dei miei giorni! — ribatté lui in tono tagliente. — Io ho bisogno di una casa che sia governata nel modo più corretto, con una cucina che mandi in tavola roba commestibile. Se tu prestassi attenzione ai tuoi doveri, invece di interferire nei miei, è un problema che non avremmo. Tu sei responsabile della mia salute, e dovresti occuparti soprattutto di quella, anziché consolare il povero Patterson che sta andando in pezzi di fronte alle vicissitudini della vita.
— È la morte di una figlia che lui trova impossibile da accettare, e comunque la causa della sua angoscia non fa nessuna differenza. È compito nostro tentare di consolarlo, o almeno di offrirgli la sicurezza del nostro sostegno sapendo che la fede, col tempo, addolcirà il suo dolore. È indubitabile che uno degli scopi principali della Chiesa sia offrire la forza per quei lutti e quelle afflizioni che il mondo non può rendere lievi.
Lui si alzò in piedi di scatto, tossendo e appoggiandosi una mano sul petto. — Compito della Chiesa, Isadora, è indicare il tracciato morale, in modo che coloro i quali hanno la fede possano raggiungere il... — S'interruppe.
— Reginald, stai male? — gli domandò lei, adesso pronta a convincersi che quella fosse la verità.
— No, naturale che non sono malato! Sono semplicemente stanco e soffro di cattiva digestione e di un attacco di reumi. — La sua voce era aspra, e Isadora vi colse qualcosa che giudicò con stupore un tocco di paura. — Perché lo domandi? Credi che si tratti di qualcosa di peggio?
— No, assolutamente. Hai tutte le ragioni. Ti chiedo scusa di aver insistito tanto. Provvederó perché la cuoca stia più attenta con le spezie e i dolciumi. E l'oca... l'oca è molto pesante.
— Sono anni che sulla nostra tavola non viene servita l'oca! — esclamò lui indignato, e se ne andò.
— L'abbiamo mangiata la settimana scorsa — disse Isadora, anche se ormai parlava solamente a se stessa. — In casa dei Randolph. E in quell'occasione avevi fatto fatica a digerirla...
Quella sera, col vescovo, dovevano andare a un altro interminabile ricevimento politico. Isadora si preparò con gran cura. — Si tratta di un evento speciale, signora? — domandò la sua cameriera personale con interesse e un pizzico di curiosità, mentre le raccoglieva i capelli fissandoglieli in una crocchia in cima alla testa, in modo da mettere in risalto la ciocca bianca che spiccava poco più a destra del centro della fronte, dove l'attaccatura dei capelli scendeva a punta. Quella ciocca bianca non mancava mai di attirare l'attenzione, ma lei non faceva niente per nasconderla.
— No, non me lo aspetto. Ma vorrei che succedesse qualcosa di memorabile. Invece promette di essere indicibilmente noiosa.
Il vescovo non fece commenti sul suo aspetto, né sull'acconciatura quasi teatrale dei capelli o sull'abito color verde mare con il corsetto audacemente fasciato che s'incrociava con una scollatura molto bassa sul petto, adorna di uno stupendo pizzo bianco, identico a quello della gonna, dove la seta era tagliata in modo tale da scendere a punta fino ai piedi davanti, e poi drappeggiata in ampie pieghe ondeggianti tutt'intorno e dietro. Si limitò a darle un'occhiata e girò gli occhi dall'altra parte, intanto che l'aiutava a salire in carrozza e ordinava al cocchiere di muoversi.
Isadora, seduta al suo fianco, provò a domandarsi cos'avrebbe provato se avesse potuto vestirsi per un uomo che la guardasse con piacere, apprezzando il colore e il taglio dell'abito che indossava, commentando che le donava, ma soprattutto lasciandole capire di trovarla bellissima. Di nuovo si abbandonò alle sue fantasticherie. Sarebbe piaciuto a Cornwallis? Se si fosse vestita per lui, si sarebbe fermato in fondo alle scale a guardarla scendere con lo stupore negli occhi, magari perfino un rispettoso timore nei confronti di una donna che poteva essere così bella, e di quelle sete, il pizzo, il profumo, tutte cose che gli erano così poco familiari?
Smettila, si disse. Doveva controllare la fantasia. Diventò di fuoco e si voltò deliberatamente verso il marito per dire qualcosa, qualsiasi cosa per rompere l'incantesimo.
Invece non disse nulla, e per tutto il viaggio anche lui rimase in un silenzio che non era abituale, come se non si accorgesse neanche della sua presenza.
La carrozza si fermò, scesero e fecero i pochi gradini fino alla porta padronale. Come al solito vennero annunciati con le formalità dovute. Isadora gli rimaneva indietro di un passo, salutando con un sorriso e qualche parola appropriata le persone che conosceva. Intanto si sforzava di mostrare un minimo d'interesse per chi aveva intorno.
— Il signor Aubrey Serracold — si sentì informare da lady Warboys. — È il candidato per il seggio di Lambeth South. Il vescovo e la signora Underhill.
— Placere, signor Serracold. Come state? — disse Isadora, com'era suo dovere, poi scoprì improvvisamente che c'era qualcosa in lui che attirava la sua attenzione. Le rispose con un sorriso, e gli occhi dell'uomo, che sembravano illuminati dal guizzo di un divertimento segreto, si fissarono nei suoi. Aveva il viso affilato e i capelli biondi che gli ricadevano di continuo su una tempia. A Isadora venne in mente di aver sentito dire, chissà dove, che era il secondo figlio di un marchese. E si domandò quali fossero le sue idee politiche.
— Che partito rappresentate?
— Non sono completamente sicuro che l'uno o l'altro sia disposto ad assumersi qualche responsabilità per quanto mi riguarda, signora Underhill — rispose lui con una smorfia appena accennata. — Sono stato tanto candido da esprimere qualcuna delle mie opinioni che non sono universalmente popolari.
A dispetto di se stessa Isadora si scoprì interessata, e dovette rivelarlo dall'espressione, perché lui si profuse subito in ulteriori spiegazioni.
— Tanto per cominciare ho commesso il peccato imperdonabile di dare la preferenza al progetto di legge sulle otto ore lavorative, giudicandolo più urgente rispetto al governo autonomo per l'Irlanda. Non vedo perché non possiamo impegnarci a realizzare l'uno e l'altro, e così facendo ad avere molte più probabilità di guadagnarci l'appoggio della massa più grande della popolazione, nonché una base di potere da sfruttare per mettere in atto riforme necessarie, cominciando con quella di cedere l'Impero ai suoi cittadini naturali.
— Non sono del tutto sicura sull'Impero, ma il resto mi sembra molto ragionevole. Fin troppo, per diventare legge.
— Siete una cinica — disse lui in tono di finta disperazione.
— Mio marito è vescovo.
— Ah, naturalmente... — Ma Serracold non poté aggiungere altro perché in quel momento erano arrivate altre tre persone a raggiungerli, e occorreva fare le presentazioni. Fra queste c'era anche sua moglie, che Isadora non conosceva ancora.
— Piacere, signora Underhill — disse Rose presentandosi, ma con un tono che non si sforzava neanche di mostrare un po' di interesse. Isadora non s'interessava di politica, e in fondo non era neanche molto alla moda, malgrado la sua toilette da sera color verde mare. Era una donna dalla grazia un po' antiquata e quel genere di bellezza che non cambia mai. Rose, invece, era eccessivamente all'avanguardia. Il suo abito era un miscuglio di satin color borgogna e merletto di seta che, dati i suoi colori straordinariamente chiari, da bionda, aveva ancora qualcosa di più teatrale, come sangue e neve. I luminosi occhi acquamarina sembravano scrutare ogni persona nella sala con una specie di avidità, come in cerca di qualcuno in particolare che non riuscivano a trovare.
— Il signor Serracold mi stava parlando delle riforme che desidera mettere in atto — disse Isadora per portare avanti la conversazione.
Rose le rivolse un sorriso abbagliante. — Sono sicura che avrete una conoscenza diretta di simili necessità. Non c'è dubbio che vostro marito, nel suo ministero, sarà sempre più dolorosamente consapevole della povertà e dell'ingiustizia che esistono e potrebbero diventare meno penose con leggi più eque.
Aveva parlato in tono di sfida, quasi aspettandosi che lei ammettesse la propria ignoranza in materia, e quindi si bollasse da sola come ipocrita.
Isadora, invece, rispose senza misurare le parole. — Di sicuro. Non sono i cambiamenti che mi riesce difficile immaginare, ma il modo di realizzarli. Perché sia buona, una legge dev'essere applicabile, come la punizione che dobbiamo essere disposti e capaci a infliggere, se non viene messa in pratica, non foss'altro che per metterci alla prova.
Rose adesso era incantata. — Dunque ci avete pensato seriamente! — La sua meraviglia era palpabile. — Chiedo scusa per non aver creduto alla vostra sincerità. — Abbassò la voce perché la potesse sentire soltanto chi le era più vicino. — Dobbiamo parlare, noi due, signora Underhill. — Allungò una mano elegante, dalle dita affusolate, e fece allontanare Isadora dal gruppo nel quale si trovavano. — Il tempo è spaventosamente poco — continuò. — Se dobbiamo davvero fare del bene, bisogna lavorare ancora più a fondo. Abolire le tasse. Per l'istruzione elementare l'anno scorso ha già avuto effetti meravigliosi, ma non è che il principio. Dobbiamo fare molto di più. Istruzione per tutti: ecco l'unica risposta duratura alla povertà. — Respirò a fondo, poi continuò lanciandosi a capofitto nell'argomento. — Dobbiamo fare in modo che le donne possano avere famiglie meno numerose. Povertà, stanchezza, esaurimento fisico e mentale sono il risultato inevitabile di avere un figlio dopo l'altro, dei quali non hai la forza di occuparti, mentre ti mancano i soldi per nutrirli e vestirli. Mi dispiace se questo è contrario alle vostre idee religiose, ma essere la moglie di un vescovo al quale si è già provvista anche una residenza è molto diverso dal ritrovarsi in una o due camere senza acqua, appena un po' di fuoco e tenere puliti e nutriti una dozzina di bambini.
— La giornata lavorativa di otto ore sarebbe un aiuto o un danno, in questo caso?
— Come potrebbe far peggiorare la situazione? Ogni lavoratore, uomo o donna che sia, dovrebbe essere protetto dallo sfruttamento.
Isadora aveva intenzione di chiedere cosa ne pensasse, piuttosto che esprimere la propria opinione, ma glielo impedì un'amica di Rose che venne a salutarla con grandi manifestazioni di affetto. Fu presentata a Isadora come la signora Swann, e a sua volta presentò la sua compagna, una donna di forse quarant anni, con quel tipo di risolutezza che la maturità porta sempre con sé ma ancora abbastanza fascino giovanile da attirare l'occhio di molti uomini. C'era una grazia particolare nel modo in cui teneva eretta la testa scura, e il suo modo di comportarsi era quello di chi è molto sicuro di sé, ma anche interessato agli altri.
— La signora Octavia Cavendish — disse la signora Swann con una sfumatura di orgoglio.
Isadora si rese conto, appena prima di parlare, che la nuova venuta doveva essere vedova, per essere presentata a quel modo, anche con il nome di battesimo, secondo le usanze della buona società. — Vi interessate di politica, signora Cavendish?
— Solamente fintantoché cambia le leggi, e mi auguro per il vantaggio di tutti — rispose la signora Cavendish. Rose la guardò sgranando quei suoi occhi straordinari. — La signora Underhill stava per spiegarci perché la giornata di otto ore lavorative potrebbe essere un errore. Temo che in cuor suo sia una conservatrice.
— Insomma, Rose — provò a metterla in guardia la signora Swann con un rapido sguardo di scusa verso Isadora. — Va bene l'eccentricità... ma tu rischi di portarla all'eccesso — continuò posando una mano sul braccio di Rose, che se ne liberò con una mossa impaziente. — Forse la signora Underhill...
Prima che Isadora potesse rispondere, la signora Cavendish interloquì. — È molto duro essere sfruttati quando si lavora, e assolutamente ingiusto — disse con garbo. — Ma è sempre meglio che non avere neanche un lavoro...
— Quello è sfruttamento! — esclamò Rose, e la sua voce vibrava di una collera che non riusciva a dominare.
La signora Cavendish riuscì a controllarsi mirabilmente. — Se è fatto in modo deliberato, senz'altro. Ma se un datore di lavoro deve affrontare profitti ridotti e una concorrenza più accanita, non può più permettersi di aumentare i suoi costi. E se lo fa rischia di perdere l'azienda, e chi lavora per lui perde il posto. La politica è fatta di ciò che è possibile, non sempre di ciò che vogliamo.
Isadora lanciò un'occhiata a Aubrey Serracold e vide la tenerezza nei suoi occhi, una vaga tristezza, la consapevolezza che le cose preziose possono perdere di valore. Quel momento di riflessione venne interrotto dall'arrivo di un altro uomo e la familiarità con cui guardò la signora Cavendish fece capire a Isadora che dovevano essere insieme. Non si meravigliò che avesse almeno un ammiratore. Era una donna singolare, e non soltanto per la sua bellezza. Rivelava carattere, intelligenza e una rara lucidità mentale.
— Posso presentare mio fratello? — disse la signora Cavendish. — Sir Charles Voisey. La signora Underhill. Il signore e la signora Serracold. — Aggiunse questi due nomi con una leggera smorfia, e Isadora ricordò di colpo che Voisey e Serracold erano avversari per la candidatura allo stesso seggio del Parlamento. Uno di loro doveva esser sconfitto.
Osservò Voisey con ravvivato interesse. A quanto poteva vedere, non assomigliava alla sorella. Aveva i capelli castano-ramati, mentre la pelle di lei era chiara e i capelli scuri, di un bel bruno lucente. La faccia di lui era affilata, il naso un po' storto, come se a un certo punto della sua vita fosse stato rotto e aggiustato malamente. L'unica cosa che avevano in comune era l'intelligenza agile e un senso di profonda forza interiore, di potere innato. In lui erano tanto intensi che quasi le sembrava di sentirli irradiare nell'aria.
Mormorò qualcosa di cortese anche se capiva perfettamente fino a che punto Aubrey Serracold nascondesse i suoi sentimenti e sapesse benissimo che il suo avversario era un uomo del tutto diverso. Il beneducato scambio di parole che avevano avuto era qualcosa di puramente formale e non ingannava nessuno. Invece vibrava la collera nel corpo irrigidito ed elegante di Rose, con il dorso slanciato e i fianchi snelli inguainati nel taffetà di colore vivace, le dita cariche di anelli scintillanti mentre muoveva le mani; la pelle del collo e della gola di un candore quasi livido, sotto la luce dei grandi lampadari a bracci, al punto che, osservandola un po' più da vicino, si sarebbero potute notare, ben visibili, le vene. Vincere era una questione così importante per lei? Oppure si trattava di qualcos'altro?
Vennero invitati a entrare in sala da pranzo secondo un ordine di precedenza corretto e già prestabilito. Nella sua qualità di moglie di un vescovo, Isadora avanzò fra i primi ospiti, al seguito degli aristocratici più anziani e molto prima delle persone comuni, come coloro che si presentavano candidati al Parlamento. La tavola era sovraccarica di porcellane e cristallerie. Accanto a ogni posto luccicavano file di coltelli, cucchiai e forchette.
Le signore sedettero ai loro posti, poi fu la volta degli uomini. La prima portata venne servita immediatamente e gli affari dei quali si era cominciato a discutere all'inizio della serata ripresero: la conversazione, l'abitudine di soppesare e giudicare gli altri, il chiacchiericcio animato che serviva a nascondere i patti che venivano stipulati e le debolezze messe alla prova e sfruttate, quand'erano scoperte. Era lì che si creavano future alleanze e nascevano future inimicizie.
Isadora ascoltava un po' distrattamente. Ma trasalì quando sentì il marito menzionare il nome di Voisey e continuare a parlare in un tono che, rispetto a prima, era chiaramente pieno di entusiasmo. — L'innocenza non ci protegge dagli errori di uomini animati dalle migliori intenzioni la cui conoscenza della natura umana è molto minore del loro desiderio di fare del bene — disse con aria grave. Non volse gli occhi verso Aubrey Serracold, ma Isadora notò almeno altre tre persone, intorno alla tavola, che lo facevano. Rose s'irrigidì e la sua mano rimase immobile, stretta intorno al bicchiere del vino. — Soltanto in questi ultimi tempi ho cominciato ad apprezzare quale impegno complesso sia quello di voler governare saggiamente — continuò il vescovo con l'espressione di chi è deciso a seguire il filo del proprio pensiero fino in fondo. — Non è un'occupazione adatta a un gentiluomo, dilettante di politica, per quanto nobili possano essere le sue intenzioni. Non possiamo assolutamente permetterci un errore. Un esperimento disgraziato con le potenze del commercio e della finanza, l'abbandono di leggi alle quali abbiamo ubbidito per secoli... ecco che soffriranno persone a migliaia, prima che la situazione possa venire rovesciata e si riguadagni l'equilibrio perduto. Per amor di coloro dei quali siamo guida, e che serviamo, non possiamo permetterci né sentimentalità né autoindulgenza. È quello il nostro dovere; altrimenti non abbiamo nulla.
Aubrey Serracold era impallidito, e i suoi occhi lampeggiavano. Non si prese la briga di obiettare. Si rendeva conto che sarebbe stata una follia. Così rimase in silenzio, le mani strette sul coltello e la forchetta. Per un attimo nessuno rispose, poi una mezza dozzina di persone si misero a parlare contemporaneamente, si scusarono e ricominciarono a dire la loro opinione.
— Una visione assolutamente priva di egoismo — disse Voisey voltandosi a guardarlo. — Se tutte le nostre guide spirituali avessero il vostro coraggio, sapremmo a chi rivolgerci per avere una guida morale.
Il vescovo gli allungò un'occhiata, pallidissimo, il petto che si alzava e si abbassava in Fretta come se si accorgesse che respirare gli riusciva inspiegabilmente difficile.
Cattiva digestione di nuovo, pensò Isadora. Si era fatto servire troppa zuppa di sedano. Avrebbe dovuto lasciarla nel piatto. Sapeva benissimo che gli rimaneva sullo stomaco. E poi, a giudicare dal suo discorso, ci sarebbe stato da pensare che fosse stata abbondantemente accompagnata col vino.
La serata continuò stancamente, vennero fatte alcune promesse e altre furono negate. Poco dopo mezzanotte i primi invitati cominciarono ad andarsene. E fra loro il vescovo e Isadora.
Fuori, mentre salivano in carrozza e partivano, lei si voltò a guardarlo. — Vuoi spiegarmi come mai ti è venuto in mente di attaccare il signor Serracold in quel modo?
— Stai forse insinuando che dovrei aspettare che le leggi vengano presentate in Parlamento, prima di manifestare la mia opposizione? — le domandò lui con una sfumatura di asprezza nella voce. — Manca il tempo, Isadora. Nessuno può permettersi di rimandare il giorno in cui ha deciso di agire. Domani potrebbe non essere più concesso pentircene.
Lei rimase sconcertata. Ecco un'osservazione di un tono che non gli era caratteristico. Non l'aveva mai sentito così pronto a esprimersi chiaramente, a impegnarsi in modo totale per qualche cosa senza lasciarsi una via di fuga casomai le circostanze dovessero cambiare.
— Sei sicuro di sentirti proprio bene, Reginald? — gli domandò, e subito se ne pentì.
Ma ormai era troppo tardi.
— No — rispose lui con la voce resa acuta da una sfumatura di malessere. — Non mi sento affatto bene. Devono avermi messo a sedere in mezzo alle correnti. Il mio reumatismo è peggiorato, e ho forti dolori al petto.
— Secondo me, la zuppa di sedano non è stata una scelta saggia.
— Ho paura che si tratti di qualcosa di più serio — replicò lui. Adesso la sua voce rivelava un panico malcelato.
— La cattiva digestione può essere molto sgradevole. E chi la prende alla leggera non ne ha mai sofferto. Comunque, poi passa e non si lascia indietro nessun'altra conseguenza, salvo una stanchezza che impedisce di dormire. Non preoccuparti, ti prego.
— Ne sei proprio convinta? — le domandò lui senza voltare la testa a guardarla, ma Isadora si accorse che cercava di convincersene.
— Certamente — gli rispose in tono gentile, per placarlo.
Rimasero in silenzio per il resto del tragitto, ma Isadora continuò a sentire profondamente il suo disagio.
Si svegliò nel cuore della notte e lo trovò seduto sul bordo del letto, la faccia livida, il corpo chino in avanti, il braccio sinistro penzoloni come se fosse completamente privo di forze. Chiuse di nuovo gli occhi, sforzandosi di ritornare al sogno che stava facendo, mari senza fine e il dolce mormorio dell'acqua contro lo scafo di una nave. Ci raffigurò John Cornwallis, la faccia che sfidava il vento, un sorriso di piacere sulle labbra. Ma la sua coscienza non le permise di rimanere fra mare e cielo. Sapeva che Reginald era seduto a poca distanza da lei e soffriva. Aprì gli occhi di nuovo e si mise seduta lentamente.
— Ti vado a prendere un po' di acqua. La faccio bollire — disse buttando da parte le coperte per scendere dal letto. La camicia da notte di lino leggero era lunga fino a terra, e d'estate non le occorreva niente di più per non avere freddo. E poi a quell'ora non ci sarebbe stato in giro nessuno dei domestici.
— No! — Dalla gola di Reginald uscì un grido quasi strozzato. — Non lasciarmi!
— Sorseggiare un po' d'acqua calda ti aiuterà — lei disse, compassionandolo a dispetto di se stessa. S'inginocchiò di fronte a lui. — Ti senti male? Un senso di nausea? Forse a cena qualcosa era poco fresco o poco cotto. — Lui non disse niente e continuò a rimanere con gli occhi fissi sul pavimento. — Vuoi che mandi Harold a chiamare il dottore? — Gliel'aveva proposto senza convinzione, più che altro per dire qualcosa. Tutto quello che il dottore poteva dargli sarebbe stata l'acqua di menta, com'era già successo in passato quando il vescovo aveva accennato alla cattiva digestione di cui soffriva consultandolo per qualche altro malanno.
— No, non lo voglio! — disse lui con la voce piena di disperazione. Poi soffocò un singhiozzo. — Pensi davvero che sia stato qualcosa che ho mangiato a cena? — Nel suo tono lei colse una nota angosciata, e speranzosa.
Si rese conto che era terrorizzato al pensiero che non si trattasse di cattiva digestione pura e semplice, e dopo tanti anni in cui si era lamentato di modesti malesseri, adesso fosse malato gravemente. Era la sofferenza che lo spaventava tanto? Un segreto timore del genere era comprensibile in chiunque, ma soprattutto in un uomo per il quale il potere e la propria importanza erano tutto. Intanto lui continuava a fissarla come se si aspettasse di essere rassicurato, di sentirsi dire che tutte quelle paure erano inutili, che il dolore se ne sarebbe andato. Ma lei non poteva. Una malattia era qualcosa di autentico, reale. Non sempre poteva essere accantonata e dimenticata.
— Farò tutto quello che posso per aiutarti — mormorò. Allungò una mano, un po' incerta, appoggiandola su quella di lui, contratta su un ginocchio. Sentì il terrore che lo dominava come se gli affiorasse alla pelle e si trasmettesse anche a lei. Poi, di colpo, lo riconobbe per quello che era: paura di morire. Quando Reginald avesse dovuto affrontare l'abisso della morte non c'era luce, non c'era un Dio in fondo a esso, ad aspettarlo. Era solo come un bambino nella notte. Stupita, si sentì lontana dai propri sogni. — Sarò con te. Non preoccuparti. — Rafforzò la stretta sulla mano di lui e gli strinse l'altro braccio. — Non c'è niente di cui aver paura. È la strada di tutta l'umanità, solo un passaggio. È il momento di avere fede. Non sei solo, Reginald. Questo è soltanto un passo nell'eternità. Quante persone hai visto compierlo bene, con coraggio ed eleganza. Anche tu puoi... e così sarà.
Lui era rimasto seduto sul bordo del letto, ma lentamente il suo corpo si placava. Il dolore doveva essere cessato, perché alla fine lasciò che lei lo aiutasse a infilarsi di nuovo sotto le coperte. E dopo pochi minuti dormiva.
Si alzò come al solito. Era un po' pallido, ma a parte quello, niente di anormale. Non fece nessuna allusione all'episodio della notte. Anzi, evitò addirittura di guardarla negli occhi. E Isadora si scoprì letteralmente indignata, furibonda. Trovava meschino da parte di Reginald che non l'avesse neanche ringraziata, che non avesse ammesso di esserle grato per il suo aiuto almeno con un sorriso. Ma capiva fino a che punto dovesse essere furioso perché lei lo aveva visto senza più un briciolo di dignità e si era accorta che le aveva rivelato la sua paura. Poteva capirlo, ma non poteva fare a meno di disprezzarlo per tanta povertà di spirito.
Era malato. Adesso lei lo accettava. Anche se Reginald avesse preferito dimenticarsene, per quel giorno, era la realtà. Aveva bisogno di lei, e che fosse affetto, compassione, rispetto o semplicemente senso del dovere quel che la tratteneva, capiva di essere imprigionata con lui fino a quando tutto ciò poteva durare. Magari anni. Se lo vedeva davanti come una strada che si allungasse fino all'orizzonte attraverso una grigia pianura. E lei avrebbe potuto dipingere i propri sogni su di essa, ma non sarebbe mai stata capace di raggiungerli e realizzarli. E forse non erano stati altro che sogni, in ogni caso.
9
— Non ci credo! — esplose Jack Radley alzando il giornale fra le mani che gli tremavano, pallidissimo. Era seduto al tavolo della prima colazione.
— Cos'è successo? — domandò Emily, e il suo primo pensiero fu per l'assassinio di Maude Lamont, dal quale era trascorsa una settimana.
— Aubrey! — rispose Jack appoggiando il giornale sul tavolo perché lo potesse vedere anche lei. — Ha scritto all'editore. Suppongo per ribattere, confutandole, alle parole che il generale Kingsley ha avuto per lui, ma è stata una pessima idea.
— È davvero così grave quello che dice? — gli domandò lei, sentendosi cogliere da un brivido gelido di ansietà. — Può avere importanza?
— Secondo me, sì.
— Be', o me la leggi, questa lettera, o mi passi il giornale!
Lui abbassò gli occhi sulla pagina e cominciò, con voce sommessa e quasi inespressiva.
Su questo giornale sono stato accusato recentemente dal generale Ronald Kingsley di essere un idealista con una modestissima conoscenza della realtà, un uomo disposto a non tenere conto delle glorie del passato della nostra nazione, e con esse degli uomini che hanno combattuto e sono morti per proteggerci e portare la regola della legge e della libertà in altre terre.
Di norma mi accontenterei di lasciare che sia il tempo a provargli l'errore che commette. Sarei convinto della fiducia dei miei amici che mi conoscono meglio, e persuaso che gli estranei sarebbero onesti nel loro giudizio. Tuttavia mi presento candidato per il seggio di Lambeth South alle attuali elezioni parlamentari, e la data di esse non mi consente il lusso di avere quel tempo a disposizione.
Nel nostro passato ci sono molti eventi gloriosi che non posso né vorrei cambiare. Ma il futuro è nostro perché venga da noi plasmato come vogliamo. Per carità, che vengano pure i grandi poemi su disastri militari come la carica della Brigata leggera a Sebastopoli, dove uomini eroici sono morti inutilmente sotto il comando di generali incompetenti. Che la nostra compassione sia rivolta ai sopravvissuti di azioni di guerra tanto disperate quando ci passano davanti zoppicanti, ciechi o mutilati, oppure li sappiamo costretti a giacere in un letto d'ospedale. E andiamo a deporre fiori sulle loro tombe. Ma cerchiamo anche di agire in modo che i loro figli e nipoti non soffrano per lo stesso destino. Questo è qualcosa che abbiamo non solo il potere, ma anche l'obbligo di cambiare.
— Ma non c'è niente di sconsiderato — obiettò Emily. — A quanto posso vedere, è la verità. Un'affermazione perfettamente corretta e onorevole.
— Non ho ancora finito — disse Jack con voce cupa. E abbassò di nuovo gli occhi sulla pagina.
Abbiamo bisogno di un esercito per combattere in tempo di guerra nel caso che dovessimo venir minacciati da una nazione straniera. Non abbiamo bisogno di avventurieri che abbiano lo stesso difetto dell'imperialismo e siano convinti che nella nostra qualità di inglesi abbiamo il diritto di aggredire e conquistare qualsiasi altro paese a nostro piacimento, sia perché siamo profondamente convinti che il nostro modo di vivere è superiore al loro e che avranno il beneficio dalle nostre leggi e istituzioni, quando verranno imposte sulle loro mediante la forza delle armi, sia perché possiedono terre, minerali, o una qualunque altra risorsa naturale che noi possiamo sfruttare.
— Oh, Jack! — Emily era allibita.
— Ma c'è dell'altro — disse lui con amarezza. — Non accusa chiaramente Kingslev di essere in cerca di gloria personale a spese dell'uomo della strada, ma l'allusione è abbastanza chiara.
— Perché? — gli domandò lei, mentre il suo disagio aumentava.
— Penso che Aubrey abbia sempre odiato l'opportunismo, l'idea che il più forte ha il diritto di prendersi quello che vuole. Ed è così che vede l'imperialismo.
— Non è un po' limitativo? Sto cominciando a convincermi sempre di più che la lotta politica si riduce alla necessità di non raccontare bugie che possono essere facilmente smentite, non perdere mai le staffe o promettere qualcosa che poi non mantieni.
Jack sorrise, ma senza mostrarsi divertito. — Vorrei che lo avessi detto a Aubrey un paio di giorni fa.
— Pensi che farà sul serio una differenza? — chiese lei. Si stava aggrappando alla speranza. — Quanti degli elettori di Lambeth South credi che la leggeranno?
— Non lo so, ma sono pronto a scommettere quello che vuoi che la leggerà Charles Voisey — rispose Jack, e nella sua voce si era insinuata una nota di disperazione. — Aubrey parla dell'ambiente militare come se i generali fossero degli imbecilli. Dio solo sa quanti ne abbiamo avuti che lo erano veramente, ma studiare la tattica di una battaglia è più difficile di quello che pensi. Ti può capitare di avere nemici intelligenti, armi inadeguate, un cambiamento del tempo. Oppure una pura e semplice sfortuna. Quando Napoleone trovava un nuovo maresciallo non domandava mai se era intelligente, ma se era fortunato.
— E Wellington cosa domandava? — lo rimbeccò Emily.
— Non lo so — ammise Jack alzandosi in piedi. — Ma non avrebbe di sicuro preso Aubrey con sé. Questa non è disonestà, e neanche cattiva politica, ma è la tattica più raccapricciante possibile contro un uomo come Charles Voisey.
Nel primo pomeriggio Emily andò con Jack a sentire Voisey che parlava a una grande folla, a Kennington, dove il parco era pieno di gente che passeggiava sotto un bel sole caldo, mangiava gelati e mele caramellate, beveva limonata e aveva voglia di divertirsi a spese di qualcuno con qualche battibecco o rispostaccia per fargli arruffare un po' le penne. Tanto per cominciare a nessuno importava granché di quello che Voisey aveva da dire; era soltanto un modo piacevole di passare un'oretta. Quindi se lui voleva ottenere la loro attenzione doveva dire qualcosa che li divertisse, e se non l'aveva ancora capito l'avrebbe imparato presto.
Emily, ferma sotto il sole con il cappello che le ombreggiava la faccia, osservò prima la folla, poi Voisey, e di sottecchi anche Jack. Non prestava una grande attenzione alle sue parole; sapeva che si concentravano sull'orgoglio patriottico, e con molta sottigliezza, perché in effetti quello che Voisey voleva era elogiare la folla perché si rendessero conto che tutti loro dovevano sentirsi parte di quello che l'Impero aveva realizzato.
Vide che Jack stringeva le labbra e la sua faccia era tesa; trasudava antipatia, ma anche ammirazione. Sia pure con riluttanza, non poteva nasconderla.
Voisey continuò. Non fece mai il nome di Serracold. Serracold avrebbe anche potuto non esistere. Non offriva la scelta fra loro: vota per me o per l'altro candidato, vota Tory o liberale. Anzi, parlava come se la decisione fosse già stata presa.
— E lui che vincerà, vero? — disse lei, leggendo la risposta nella sua espressione.
Cosa intendeva fare? Una parte di lei avrebbe voluto che Jack onorasse l'amicizia, dicesse quello che poteva per metter riparo alla disparità fra Aubrey e quell'uomo che stava manipolando la situazione con tanta abilità. Con quella lettera all'editore Aubrey si era giocato tutto, mettendosi nelle sue mani. Perché era stato così sciocco? Guardò di nuovo Jack e lo vide ancora indeciso. Aveva ragione, a volte c'era un prezzo molto alto da pagare per il potere. Ma senza il potere si ottiene poco, forse niente. Le battaglie costavano care; quella era la caratteristica della lotta per qualunque principio, per una qualsiasi vittoria. E se ti ritiravi dalla lotta perché ti danneggiava, ecco che la ricompensa andava a qualcun altro, qualcuno come Voisey.
Gli si avvicinò di un passo e infilò il braccio sotto il suo. Jack si volse a guardarla, ma lei evitò di fissarlo negli occhi.
Quella sera erano stati invitati a un ricevimento, che Emily in un primo momento aveva considerato abbastanza promettente. Pensava di divertirsi. Era meno formale di una cena e offriva l'occasione di parlare con una maggior varietà di persone semplicemente per il fatto di non essere seduti intorno a un tavolo. A ogni modo, sapeva che ci sarebbero stati anche Rose e Aubrey Serracold, che qualche commento sul discorso di quel pomeriggio doveva già essere arrivato almeno a qualcuno degli invitati, e nel giro di un'ora tutti sarebbero stati al corrente non soltanto dell'incredibile mancanza di buonsenso di Aubrey, con quella lettera al giornale, ma anche della superba risposta di Voisey. Quindi la serata prometteva di essere piena di difficoltà, perfino imbarazzante.
Come sempre dedicò la massima cura al proprio abbigliamento. La prima impressione aveva sempre una grande importanza, e da tempo non ignorava che una donna carina può attirare l'attenzione di un uomo e affascinarlo, quando una scialba o bruttina non ci riesce. Di conseguenza scelse un abito attillato in vita e con la gonna ampia di un leggero tessuto naturale stampato con un motivo color verde, una tpnalità che le donava sempre molto. Ne risultò un effetto talmente teatrale che perfino Jack, avvilito e di cattivo umore quando pensava a Voisey, la guardò con tanto d'occhi e si sentì obbligato a farle un complimento.
— Grazie — disse lei con soddisfazione. Si era vestita per scendere sul campo di battaglia, ma lui era sempre la conquista che le importava di più.
Arrivarono sessanta minuti esatti dopo l'ora indicata sull'invito, presto, rispetto all'usanza, ma decorosamente accettabile. Emily notò numerose conoscenze del suo ambiente sociale e le mogli di uomini politici con le quali era saggio essere in amicizia, e perfino qualcuna che trovava addirittura simpatica. Sapeva che Jack aveva anche lui determinati doveri per quella serata, doveri che non poteva permettersi di ignorare.
Due ore più tardi il trattenimento musicale era già cominciato. La solista era una delle donne più brutte che lei avesse mai visto, ma aveva una di quelle voci possenti che si levavano nell'aria senza sforzo, da autentica diva dell'opera. A un tratto Emily vide Rose Serracold. Doveva essere appena arrivata, perché portava una toilette talmente sensazionale che nessuno avrebbe potuto non notarla, a strisce vermiglie e nere, guarnita da sontuosi drappeggi di pizzo nero alle maniche e sul corsetto, e metteva in risalto l'estrema snellezza della sua figura. Sulla gonna un fiore vermiglio riprendeva il ciuffo di quelli che guarnivano il seno e la spalla. Era seduta in una poltrona all'estremità del gruppo, la schiena eretta, i capelli chiarissimi, lucenti come un raggio di sole. Emily d'istinto cercò Aubrey vicino a lei, oppure alle sue spalle, ma non lo vide.
Appena il concerto finì, si alzò per andare a raggiungerla. C'era già un piccolo gruppo di persone raccolte intorno a lei e poté sentire quello che dicevano. Si sentì chiudere subito lo stomaco da una morsa di gelo, perché aveva capito immediatamente a cosa alludevano, anche senza che venisse menzionato qualche nome.
— Devo ammettere che è molto più intelligente di quanto credessi — stava dicendo, rattristata, una donna che portava un vestito di tessuto dorato. — Ho paura che lo abbiamo sottovalutalo.
— Io credo che abbiate sopravvalutato la sua moralità — Rose disse con voce tagliente. — Forse il nostro errore è stato quello.
Emily aprì la bocca per intervenire, ma qualcuno parlò prima di lei. — Naturalmente deve aver fatto qualcosa di eccezionale perché la Regina lo ricompensasse con il titolo di baronetto. Forse avremmo dovuto tenere in maggior conto un latto del genere. Non so dirvi quanto mi dispiaccia, mia cara.
Forse fu il tono un po' troppo condiscendente di quella voce, ma bastò perché Rose non potesse ignorare la stoccata. — Sono sicura che ha senz'altro fatto qualcosa di molto speciale — ribatté. — Probabilmente facendosi pagare chissà quante migliaia di sterline... e riuscendo a ottenerlo fintantoché c'era un primo ministro Tory a raccomandarlo.
Emily si sentì agghiacciare. Sapevano tutti che uomini facoltosi avevano fatto massicce donazioni a tutti e due i partiti politici, e per questo avevano ottenuto il titolo di baronetto, a volte perfino quello di Pari del Regno. Era uno degli scandali più vergognosi, eppure i due partiti raccoglievano in questo modo i fondi per mantenersi. Ma dire che una qualsiasi persona, in modo specifico, avesse ottenuto una ricompensa del genere era imperdonabile e terribilmente pericoloso, a meno di non essere pronti e disposti a dimostrarlo. Emily capiva che Rose adesso stava lanciando accuse all'impazzata, in ogni direzione possibile, perché aveva paura che Aubrey non vincesse. Ma forse era anche impaurita pensando al senso di colpa dal quale sarebbe stata consumata per la parte da lei stessa avuta in quella sconfitta, se avesse dovuto verificarsi. Che i giornali avessero notizia del suo legame con Maude Lamont o no, e che intendessero usarlo o no, lei non avrebbe mai potuto dimenticare di aver dato più importanza a una propria esigenza privata piuttosto che alla carriera di Aubrey.
— Insomma, mia cara, queste sono cose molto gravi da affermare! — la redarguì la donna con l'abito d'oro, accigliandosi.
Intanto Emily aveva il cervello in tumulto e stava cercando disperatamente qualcosa, qualsiasi cosa, per salvare la situazione. Non trovò niente. — Rose, che stupenda toilette! — Le sue parole suonarono forzate, insignificanti e frivole perfino alle sue stesse orecchie. Chissà le altre come dovevano giudicarle sciocche.
— Buonasera, Emily — disse Rose freddamente. Non aveva dimenticato una sola parola del loro scontro precedente. Il calore dell'amicizia era scomparso. E forse stava già accorgendosi che Jack non intendeva difendere Aubrey, se poteva avere l'impressione che questo mettesse a rischio il suo stesso seggio.
Emily s'impose di atteggiare la faccia al sorriso, anche se aveva paura che assomigliasse piuttosto a un ghigno spettrale, tanto si sentiva agitata. — Come siete piena di discrezione a non voler dire quello che lui ha fatto! — Sentì la propria voce levarsi acuta e po' stridula, ma pensò che bastava ad attirare su di sé tutta l'attenzione della piccola cerchia di persone che si era formata intorno a loro. — Però ho paura che così facendo tu abbia dato l'impressione sbagliata, e cioè che si sia trattato di una donazione in denaro, piuttosto che di un servizio di grande merito e di tale importanza da poter essere messo alla pari di una sostanziosa somma di denaro... — Cercò di dare affannosamente ordine, nella memoria, alle varie informazioni che Charlotte o Gracie si erano lasciate sfuggire riguardo all'affare di Whitechapel e alla parte che Voisey ci aveva avuto. Ma una volta tanto, erano state singolarmente discrete. Accidenti!
Rose era rimasta interdetta, il fiato sospeso. Bisognava fare in fretta prima che parlasse ancora rovinando tutto.
— Naturalmente anch'io non conosco la storia per filo e per segno — riprese in fretta. — Sono al corrente soltanto di qualcosa, ma ti prego di non domandarmelo. Comunque, è stato sicuramente un atto di grande coraggio. Non posso dire come siano andate le cose perché mi dispiacerebbe interpretare in modo sbagliato quello che qualcuno ha fatto, e forse rischierei di non rendergli giustizia... comunque è stato di grande merito per Sua Maestà, e per il governo conservatore. È più che naturale che venisse ricompensato. — Scoccò un'occhiata di ammonimento a Rose. — Sono sicura che tu intendevi dire questo.
— Lui è un opportunista — ribatté Rose seccamente. — Un uomo che cerca di ottenere una carica per se stesso, non per far passare leggi che portino giustizia sociale per molte persone, per i poveri e gli ignoranti e per chi è sfruttato e spogliato di tutto.
Era un'accusa diretta contro tutti, senza eccezioni, ed Emily cominciò ad aver paura. Rose sembrava ansiosa di toccare il fondo dell'autodistruzione, e naturalmente questo significava che ci avrebbe trascinato anche Aubrey. Come poteva non vedere quel che stava facendo?
— Tutti gli uomini politici sono tentati di dire qualsiasi cosa possa, a loro giudizio, farli eleggere — rispose a voce un po' troppo alta. — È molto facile una reazione del genere quando si ha davanti una folla e si cerca di entrare nelle grazie della gente.
Gli occhi di Rose si erano fatti duri, illuminati da una luce selvaggia, come se avesse l'impressione che lei la stava attaccando deliberatamente, e il suo fosse un altro modo ancora di tradire la loro amicizia.
— Non sono soltanto gli uomini politici che hanno ceduto alla tentazione di dare spettacolo per il pubblico che sta in loggione, come un'attricetta da quattro soldi! — esclamò nella speranza di renderle la pariglia.
Emily non riuscì più a controllarsi. — Davvero? Mi sfugge il significato del tuo paragone. Ma bisogna pensare che tu ne devi sapere molto più di me sul conto delle attricette da quattro soldi.
Una delle signore presenti proruppe in una risatina nervosa, poi un'altra la imitò. Qualcuna, a guardarla, si sarebbe detta profondamente a disagio. Se ne andarono a una a una, mormorando scuse inintelligibili.
Emily prese per un braccio Rose e si accorse che faceva resistenza, irrigidita dalla testa ai piedi. — Si può sapere cosa ti prende? — le sibilò nell'orecchio. — Sei impazzita? — Sulla faccia di Rose stava per scomparire anche quel po' di colore che c'era prima, come se si fosse svuotata di ogni goccia di sangue. — Vieni a sederti! — le ordinò Emily. — Qui... su questa poltrona, prima di svenire. — La trascinò per qualche metro fino a quella che avevano più vicina e la costrinse, contro la sua volontà, a prendervi posto.
Rose rimase immobile.
Emily aspettò.
Nessuno venne ad accostarsi a loro.
— Non puoi rimanere seduta qui in eterno — si decise alla fine a dirle Emily con tutta le gentilezza possibile. — Non posso aiutarti se non so cosa c'è che non va. Qui ci vuole un po' di buonsenso, è inutile fare i capricci. Perché Aubrey si sta comportando così da stupido? Si tratta di qualcosa che riguarda te?
Rose si raddrizzò di scatto, mentre due chiazze rosso acceso le macchiavano le guance, gli occhi scintillanti. — Aubrey non è uno stupido! — disse con un filo di voce, ma con una tale intensità di sentimento da lasciare sconvolti.
— Lo so che non lo è — disse Emily più gentilmente. — Ma si sta comportando come se lo fosse, e tu ancora di più. Hai almeno una vaga idea della brutta impressione che dai attaccando Voisey come stai facendo? Anche se tutto quello che dici fosse vero e tu potessi dimostrarlo, mentre non puoi, non servirebbe ugualmente a guadagnarti dei voti. E che tu possa avere ragione non ha niente a che fare con quello che succede.
— Ma è mostruoso!
— Senz'altro — confermò Emily. — Ma devi stare anche tu alle regole del gioco... Anzi, se puoi, meglio degli altri. Peggio mai, ricordalo!
Rose non disse niente.
Emily tornò al primo problema di tutta quella sciagurata faccenda, che secondo lei continuava a essere il nocciolo della questione. — Perché sei andata da una medium? E non raccontarmi che l'hai fatto semplicemente per cercare di metterti in contatto con tua madre e avere con lei un colloquio consolatore. Non faresti mai niente del genere in un periodo di elezioni, né tantomeno lo terresti nascosto ad Aubrey. Sei tormentata dal senso di colpa per quello che stai facendo, però hai continuato ad andarci. Perché? Cos'hai bisogno di vedere risolto, che appartiene al passato... e a un simile prezzo?
— Non ha niente a che vedere con te — rispose Rose al colmo dell'infelicità.
— E invece sì — la contraddisse Emily. — Può riguardare Aubrey; anzi, è quello che sta già succedendo, e di conseguenza riguarderà anche Jack, se ti aspetti che lui cerchi di aiutare tuo marito, offrendogli il proprio sostegno per le elezioni. — Poi accostò un'altra poltrona e sedette di fronte a lei sporgendosi lievemente in avanti. — Ti stava ricattando, la medium, per il solo fatto che andavi da lei? — Vide che Rose trasaliva. — O per quello che puoi avere scoperto, venendo a saperlo da tua madre? — insistette.
— No, non mi ricattava! — Non era una bugia, eppure Emily capì che non era neanche tutta la verità.
— Rose, smetti di scappare — la supplicò. — Quella donna è stata assassinata. Qualcuno la odiava tanto da ucciderla. Non è stato un pazzo capitato lì per caso. È stato qualcuno che era presente alla seduta spiritica di quella sera, e tu lo sai. — Rimase esitante per un attimo, quindi si buttò a capofitto. — Sei stata tu? Lei ti ha minacciato di qualcosa di tanto terribile che sei rimasta indietro e le hai cacciato quella roba in fondo alla gola? È stato per proteggere Aubrey?
Rose era livida, gli occhi quasi neri. — No!
— Allora perché? Qualcosa nella tua famiglia?
— Non l'ho uccisa io! La volevo viva, lo giuro.
— Perché? Cosa faceva per te che avesse tutta questa importanza? Ti metteva a parte dei segreti di altre persone? Era il potere che ti dava?
Rose era allibita. La sua faccia esprimeva tormento, furore e vergogna. — Ma come puoi pensare cose simili di me? Sei vile! Niente di quello che ho fatto ha mai danneggiato qualcun altro... — Abbassò gli occhi. — Salvo Aubrey.
— E tu hai il coraggio di affrontare una cosa simile? Ma cos'avevi bisogno di sapere?
— Se mio padre è morto pazzo — sussurrò Rose. — A volte io faccio cose strane; poco fa tu stessa mi hai domandato se non ero matta. Lo sono? Finirò come lui e morirò sola, chissà dove, magari in un manicomio? — Le si incrinò la voce. — E Aubrey? Dovrà passare il resto della sua vita preoccupandosi per quello che potrei fare? Dovrò diventare qualcosa di imbarazzante per lui, qualcuno da sorvegliare sempre, per cui chiedere scusa continuamente, terrorizzato dalle cose terribili che può dire o fare? — Deglutì come se avesse la gola chiusa. — Lui non mi farebbe mai rinchiudere, non è un tipo così, non è capace di salvare se stesso facendo del male a qualcun altro. Aspetterà finché diventerò la sua rovina... e questo non potrei sopportarlo!
Emily si sentì sopraffatta da una tale compassione da rimanere ammutolita. Avrebbe voluto abbracciare Rose e stringerla tanto forte da farle sentire calore umano, affetto e consolazione fin nel profondo del cuore, ma era impossibile. Sapeva, invece, di poterle offrire soltanto il conforto delle parole.
— È la paura che ti fa comportare come un'eccentrica, Rose, non una pazzia ereditaria. Quello che tu hai fatto non è più stupido di tante cose che ognuna di noi fa. Se hai bisogno di sapere di che cosa è morto tuo padre, ci devono essere altri modi per scoprirlo, per esempio tramite il dottore che lo curava...
— A questo modo chiunque verrebbe a saperlo! — disse Rose con il panico nella voce, nella stretta convulsa con cui lei aveva afferrato le mani. — Non potrei sopportarlo!
— Ma non è necessario che lo sappiano.
— Aubrey...
— Verrò con te — promise Emily. — Diremo che vogliamo fare una scampagnata insieme e andremo a domandarlo al dottore che lo curava. Lui non ti dirà soltanto se tuo padre era malato di mente, ma in caso affermativo, se si trattava di qualcosa che è successo a lui solo, a motivo di un incidente o di una malattia, oppure che potresti ereditare anche tu. Ci sono tanti tipi differenti di pazzia, non uno solo.
— E se i giornali vengono a saperlo? Credimi, Emily, scoprire che sono andata a una seduta spiritica non è niente in confronto a quello!
— E allora aspetta fino a dopo le elezioni.
— Ho bisogno di saperlo prima. Se Aubrey diventa un parlamentare, se viene chiamato ad assumere qualche carica al governo, al ministero degli Esteri... io sono... — Non concluse la frase perché non aveva il coraggio di dire quelle parole.
— In tal caso sarà terribile. Ma se non lo sei, invece, ed è la paura a spingerti alla pazzia, avrai sacrificato tutte le tue opportunità in un sol colpo, e inutilmente. In ogni caso, non saperlo non cambierà niente.
— Vorresti venire con me? — chiese Rose rianimandosi, ma subito dopo cambiò espressione, e la speranza che le aveva illuminato il viso scomparve per renderla di nuovo stralunata e piena di disperazione. — Ma a quel punto suppongo che andrai a raccontarlo al tuo cognato poliziotto! — Era un'accusa che nasceva dall'angoscia, non una domanda.
— No, non entrerò con te nello studio del dottore, e non avrò nessuna idea sulla eventuale risposta che riceverai. E comunque, alla polizia non interessa di quale malattia tuo padre è morto... a meno che non sia stata quella a spingerti a uccidere Maude Lamont...
— Non sono stata io! Credimi, non sono mai arrivata al punto di poterlo chiedere allo spirito di mia madre. — Si prese di nuovo la testa fra le mani smarrita per l'infelicità, il terrore e l'imbarazzo.
— Vieni — disse Emily con fermezza. — Una spruzzatina d'acqua fredda in faccia, una tazza di tè bollente, che hanno cominciato a servire in sala da pranzo, e poi raggiungeremo gli altri.
Lentamente Rose si alzò, raddrizzò le spalle e, ben eretta, ubbidì.
10
Pitt e Tellman tornarono nella casa di Southampton Row. Pitt stava convincendosi di essere osservato, ogni volta che andava e veniva in Keppel Street, anche se non aveva mai notato nessuno, all'infuori di quel portalettere che si era dimostrato così indagatore e dell'uomo che vendeva il latte con il suo carretto, fermo all'angolo della viuzza che collegava Keppel Street con Montague Place. Aveva ricevuto due brevi letterine da Charlotte nelle quali gli diceva che tutto andava bene e che sentivano enormemente la sua mancanza, ma a parte quello si divertivano moltissimo. Su nessuna delle due c'era l'indirizzo del mittente. Anche lui le aveva scritto, ma si era assicurato di imbucare le sue lettere in cassette postali molto lontane, dove il portalettere curioso non le avrebbe mai viste.
La casa in Southampton Row sembrava piena di pace, perfino idilliaca, nella calda e serena mattinata estiva. Ma una volta dentro fu diverso. Le tende erano chiuse a metà come veniva considerato corretto se c'era stato un decesso in famiglia e il salottino dove Maude Lamont era morta appariva intatto. Lena Forrest li ricevette abbastanza cortesemente, anche se sembrava ancora stanca e dava l'impressione di essere più inquieta e ansiosa di prima. Entro poco tempo si sarebbe profilata per lei la necessità di trovarsi un altro lavoro.
Non doveva essere stato comunque facile vivere nella casa dove una donna che conosceva e vedeva ogni giorno nell'intimità, una donna che era stata assassinata appena una settimana prima, anche se il fatto che fosse al servizio di Maude Lamont non significava necessariamente che avesse avuto un particolare affetto nei suoi confronti, perché la medium poteva essere stata una padrona severa, difficile da accontentare o senza riguardi.
— Buongiorno, signorina Forrest — disse Pitt cortesemente.
— Buongiorno, signore — rispose lei. — C'è qualcos'altro in cui posso esservi utile? — Incluse anche Tellman nella domanda. Si trovavano nel salotto, in piedi, visibilmente a disagio.
— Sedetevi, per favore — la invitò Pitt, e anche lui e l'ispettore la imitarono. — Signorina Forrest — cominciò. Lei era diventata attentissima. — Dal momento che la porta d'ingresso padronale era chiusa e sbarrata, la portafinestra che dà sul giardino era chiusa ma non bloccata dall'interno e l'unico modo per uscire dal giardino è dalla porta su Cosmo Place, chiusa a chiave ma senza la sbarra, è inevitabile arrivare alla conclusione che la signorina Lamont sia stata uccisa da una delle persone presenti in casa durante la seduta spiritica. L'unica alternativa è che fossero d'accordo tutti e tre, ma non sembra neanche lontanamente possibile. Vi è venuto in mente qualche altro motivo per cui qualcuno volesse fare del male alla vostra padrona?
Lei esitò, e il dubbio affiorò sulla sua faccia. Era chiaro che doveva essere stata colta da una profonda emozione.
— Vi prego, signorina Forrest — insistette Pitt. — Lei era una donna che aveva l'opportunità di scoprire alcuni dei segreti più profondi e vulnerabili nella vita delle persone, e cose delle quali è possibile che loro si vergognassero disperatamente, oppure peccati e tragedie del passato troppo scottanti da dimenticare.
Scorse l'improvvisa compassione sulla sua faccia come se non le riuscisse difficile, con la fantasia, immaginare simili persone e vedere in ogni atroce particolare l'orrore di quei ricordi. Forse era stata la cameriera di altre donne che soffrivano di grandi dolori, figli morti, matrimoni infelici, relazioni amorose che le turbavano. Esattamente come nessun uomo era un eroe per il suo valletto, così nessuna donna era un mistero per la sua cameriera.
— Sì — disse Lena con voce fievole. — Non sono molti i segreti che si nascondono a una brava medium, e lei era molto brava.
Pitt la guardò cercando di leggerle negli occhi se sapeva più di quello che le sue nude parole potevano rivelare. Per Maude Lamont sarebbe stato difficile nascondere alla sua cameriera un complice usato abitualmente, sia per mettere in atto false manifestazioni spiritistiche sia per procurarsi informazioni personali su possibili, futuri clienti. Lena Forrest manteneva questi segreti solo per lealtà nei confronti di una donna morta o per un senso di autoconservazione, perché se li avesse rivelati nessuno, in futuro, l'avrebbe assunta offrendole un altro posto di tanta responsabilità?
— C'erano persone che venivano a trovarla regolarmente e non avevano niente a che fare con le sedute? — le chiese Tellman. — Noi stiamo cercando chi le forniva le informazioni per tutto quanto lei poi raccontava alla gente... le cose che loro volevano ascoltare, cioè.
Lena chinò gli occhi, come se fosse imbarazzata. — Non c'è bisogno di molto. La gente si tradisce con facilità. E lei era molto brava a leggere l'espressione della faccia, a capire le cose che non le venivano dette. Non saprei contare tutte le volte che stavo pensando a qualche cosa e lei sapeva di che si trattava prima ancora che io aprissi la bocca per dirglielo.
— Abbiamo frugato tutta la casa in cerca delle sue agende — disse Tellman a Pitt. — Però non abbiamo trovato niente all'infuori delle liste degli appuntamenti. Doveva affidare tutto alla memoria.
— Cosa pensate dei suoi talenti, signorina Forrest? — le domandò Pitt all'improvviso. — Voi credete al potere di prendere contatto con gli spiriti dei defunti? — Intanto la osservava con attenzione.
Lena respirò profondamente, poi buttò fuori il fiato in un sospiro. — Non lo so. Io ho perduto mia madre e mia sorella, e confesso che mi piacerebbe sapere che sono in qualche posto dove potrei parlare di nuovo con loro. — La sua faccia adesso appariva offuscata da una profonda commozione che faticava a tenere sotto controllo.
— A voi personalmente è mai capitato di vedere queste manifestazioni? — le domandò lui. La risposta all'assassinio di Maude Lamont doveva essere, almeno in parte, in questa casa, e che potesse coinvolgere in qualche modo Voisey, le elezioni o altro, doveva trovarla. Non poteva passar sopra a un omicidio, chiunque ne fosse la vittima o qualunque il movente.
— Una volta era quello che credevo — disse lei esitante. — Molto tempo fa. Ma quando si vuole qualcosa con molto impegno, come queste persone... — Guardò di sottecchi le seggiole dove prendevano posto abitualmente i clienti di Maude durante le sedute spiritiche. — Be' ecco che allora si finisce in ogni caso per accettarle, per credere di vederle, dico bene?
— Sì, è possibile. Ma voi non avevate nessun interesse per gli spiriti con i quali queste persone volevano mettersi in contatto. Provate a ripensare a tutto quello che avete sentito, a tutto quello che sapete di ciò che la signorina Lamont era in grado di creare. Da altri clienti abbiamo sentito parlare di voci, di musiche, ma si direbbe che la levitazione avvenisse solamente qui.
Lei sembrò perplessa.
— Come quando ci si solleva in aria — spiegò Pitt. Colse negli occhi della domestica un lampo improvviso. — Tellman, date un'altra occhiata al tavolo — ordinò. Poi tornò a rivolgersi a lei. — Ricordate se vi è mai capitato di vedere qualcosa di differente la mattina dopo una seduta, qualcosa che non aveva più il posto di prima, un odore differente, profumo, cipria o qualcos'altro?
Lei rimase in silenzio talmente a lungo che Pitt non riuscì a capire se si concentrasse su qualche cosa oppure, più semplicemente, non intendesse rispondere.
Tellman adesso si era seduto sulla seggiola che Maude occupava abitualmente. Gli occhi di Lena erano fissi su di lui.
— Avete mai mosso il tavolo? — riprese Pitt.
— No. È fissato al pavimento — rispose Tellman. — Ho già provato a spostarlo.
Pitt si alzò. — E la seggiola? — Intanto si era avvicinato all'ispettore, che si alzò anche lui e sollevò la seggiola. Si accorse con stupore che nel punto dove erano appoggiati i piedi c'erano quattro leggere cavità sulle assi di legno del pavimento. Impossibile che a formarle fosse stato anche soltanto un uso continuo. Si spostò verso un'altra delle seggiole e l'alzò dal pavimento. Lì non c'era niente. Si volse verso Lena e gli bastò guardarla in faccia per capire che lei sapeva.
— Dov'è la leva? — disse in tono severo. — La vostra posizione è molto precaria, signorina Forrest. Non mettete a rischio il vostro futuro raccontando bugie alla polizia.
Lei si alzò dal suo posto, e andò a mettersi dall'altro lato della sedia. Si chinò a toccare il centro di uno dei fiori scolpiti lungo il bordo del tavolo.
— Schiacciatelo — le ordinò Pitt. Lei ubbidì, e per un attimo non successe niente. — Schiacciatelo di nuovo!
La cameriera era rimasta perfettamente immobile.
Molto gradualmente la seggiola cominciò a sollevarsi, e chinando gli occhi Pitt vide che le assi di legno del pavimento sottostante si sollevavano anch'esse, ma solamente quelle sulle quali si appoggiavano i quattro piedi. Le altre rimasero fisse. Non si sentiva neanche il più lieve rumore. Quando si trovarono all'incirca a una quindicina di centimetri al di sopra del pavimento, il meccanismo si arrestò.
Pitt guardò Lena. — Dunque sapevate che almeno questo era un trucco.
— L'ho appena scoperto — rispose lei con un tremito nella voce.
— Quando?
— Dopo che è morta. Ho cominciato a cercare. Non ve l'ho detto perché sembrava... — Abbassò di nuovo gli occhi, e subito li rialzò. — Ecco, lei ormai se n'è andata. Immagino che niente possa più farle male.
— Credo che farete meglio a raccontarci cos'altro siete venuta a sapere, signorina Forrest.
— Non so nulla, solamente della seggiola. Io... io ho sentito raccontare delle cose che faceva da qualcuno che è venuto... con dei fiori, per manifestare il dispiacere per la sua morte. Allora ho provato a guardare. Non ho mai partecipato a una seduta, io. Mai!
Pitt non riuscì a cavarle di bocca nient'altro. Un esame minuzioso della sedia e del tavolo e una spedizione in cantina fecero scoprire un meccanismo raffinatissimo, tenuto in condizioni perfette, e anche lampadine per la luce elettrica, di cui la casa era fornita, e che funzionava per mezzo di un generatore, in cantina anche quello.
— Perché così tante lampadine? — domandò Pitt con aria meditabonda, quando tornarono di sopra. — L'elettricità non è stata messa in gran parte della casa; solamente nel salotto e nella sala da pranzo. L'altra è tutta luce a gas, e per il riscaldamento c'è il carbone.
— Non ne ho nessuna idea — confessò Tellman. — Si direbbe che usasse l'elettricità più che altro per i suoi trucchi. Anzi, adesso che ci penso, ci sono soltanto tre lampade che funzionano elettricamente. Che intendesse farne mettere altre?
— E intanto si era procurata le lampadine?
— Quel che ci occorre scoprire è cosa lei sapesse sul conto di quelle tre persone che possa avere spinto una di loro a ucciderla. Avevano tutti qualche segreto, e lei li ricattava. Sono pronto ad accettare scommesse su questo fatto.
— Be', Kingsley veniva per la morte del figlio. La signora Serracold voleva entrare in contatto con la madre, e quindi presumibilmente la sua era una questione di famiglia legata al passato. Dobbiamo scoprire chi è il Cartiglio, e perché frequentava questo posto.
— E perché non le voleva neanche dire il suo nome! — aggiunse Tellman infuriato. — Ripeto che sono pronto a scommettere tutti i miei soldi che doveva essere qualcuno che potremmo riconoscere. E il suo segreto è tanto terribile che non se la sente di rischiare qualcosa del genere. E perché non pensare che lei l'abbia riconosciuto? E poi che sia stato per quello che ha dovuto ucciderla?
Pitt rifletté per qualche istante su tutto questo. — Ma secondo la signora Serracold e il generale Kingsley, lui non voleva parlare con nessun defunto in modo specifico...
— Non ancora. Forse l'avrebbe fatto, una volta che si fosse veramente convinto che lei era in grado di evocare i defunti! — esclamò Tellman con certezza crescente. — E perché non pensare che volesse metterla ancora alla prova? Da quanto hanno detto i due testimoni, sembrerebbe che fosse proprio quello che stava cercando di fare.
Tellman aveva ragione. Pitt dovette riconoscerlo, ma non aveva nessuna risposta. Presumere che la terza persona fosse stata Francis Wray a parer suo non era credibile... Impossibile convincersi che fosse stato lui a inginocchiarsi deliberatamente sul petto di Maude Lamont forzandole il bianco d'uovo e la mussolina in gola, e poi l'avesse tenuta ferma fino a quando, ansante e colta dai conati di vomito, man mano che le si riempivano i polmoni, non era rimasta soffocata a morte.
Tellman lo stava osservando. — Dobbiamo trovarlo — disse con aria torva. — Il signor Wetron insiste che è quell'individuo di Teddington. Dice che le prove saranno là, se sappiamo dove cercarle. A mezze parole mi ha lasciato capire che dovrei mandare una squadra dei nostri uomini e...
— No! Se ci va qualcuno, quello sarò io.
— In tal caso farete meglio ad andarci oggi — lo mise in guardia Tellman. — Altrimenti Wetron potrebbe...
— Questo caso è affidato al reparto speciale.
— Comunque, non abbiamo molti risultati da mostrare per il lavoro fatto, dico bene?
Pitt si sentì arrossire. La critica era giusta, ma ciò non toglieva che l'offendesse ugualmente. Preferiva non pensare a un possibile fallimento, ma il dubbio gli rimaneva sempre in fondo al cervello... — Ci andrò — disse bruscamente. — Quanto a voi, farete meglio ad approfondire le ricerche sul modo in cui quella donna si procurava il materiale per i ricatti. Si limitava solamente a osservare e ascoltare oppure faceva anche qualche ricerca più attiva? Potrebbe essere utile saperlo.
L'ispettore sembrava indeciso, e sulla sua faccia si rifletteva un conflitto di sentimenti. — Ci vediamo domani — bofonchiò andandosene.
Intanto, sul treno per Teddington, Pitt continuava a girare e rigirare col pensiero su tutte le possibili linee di indagine che riguardassero Francis Wray. E sempre, prima di tutto il resto, gli si affacciavano alla memoria l'opuscolo pubblicitario che vantava i talenti di Maude Lamont, e che lui aveva visto su quel tavolo, e il furore apparso sulla faccia di Wray a sentir menzionare medium e spiritisti.
Tra sé escludeva totalmente la possibilità che il vecchio signore fosse rimasto così sconvolto dal punto di vista emozionale per la morte della moglie da aver perduto il suo equilibrio psichico, ma forse, subito dopo esser rimasto colpito da un dolore così atroce, aveva abbandonato un'intera vita di fede ed era andato da una medium. Non sarebbe stato sicuramente l'unico a fare una cosa del genere, e non era neanche tanto insolita. E poi, convinto che era un peccato, poteva aver messo sullo stesso piano la medium e la colpa, e tentato di liberarsi dell'odio e della ripugnanza che provava per se stesso distruggendo lei. Quanto più questo pensiero s'insinuava con lucidità nel suo cervello, tanto più accanitamente lui cercava di negarlo.
Arrivato a Teddington scese dal treno, ma stavolta evitò Udney Road e si diresse verso la strada principale del villaggio. Provava un vero e proprio disgusto all'idea di informarsi sul conto di Francis Wray con un interrogatorio degli abitanti, ma non gli rimaneva altra scelta.
Doveva inventare qualcosa.
Non poteva certo mettersi a domandare di punto in bianco alla gente: "Secondo voi il signor Wray ha perduto il ben dell'intelletto?". Invece preferì formulare le sue domande in modo da capire, per esempio, se si era messo a perdere qualcosa con sempre maggior frequenza, se gli fosse capitato qualche vuoto di memoria, oppure se qualcuno era preoccupato per la sua salute. Gli riuscì difficile trovare le parole adatte a farlo. Dover estorcere informazioni sul modo in cui il dolore del vecchio signore poteva aver lasciato il segno su di lui fu una delle cose più offensive che gli fosse mai capitato di fare, e non nei confronti delle persone con le quali parlava, ma di se stesso.
Le risposte si rivelarono tutte concordi. Francis Wray era profondamente ammirato e suscitava la simpatia universale; anzi, dire che era amato non sarebbe stato un'esagerazione. Ma chi gli rispondeva non nascondeva anche di essere ansioso per lui, di aver capito che il suo lutto lo aveva lasciato più vulnerabile di quanto fosse in grado di tollerare. Alcuni amici erano indecisi e non sapevano bene se andare a trovarlo, o no. Comunque Pitt riuscì ugualmente a scoprire qualcosa di più, e proprio da uno di questi amici, il signor Duncan, vedovo anche lui, e più o meno della stessa età di Wray. Pitt lo trovò nel suo giardino intento a legare una stupenda fioritura di malvone rosa che era cresciuto tanto da essere ben più alto della sua testa.
— È solo perché ci si preoccupa per lui — disse Pitt cercando di spiegare il perché dell'indagine. — Non ci sono state lagnanze nei suoi confronti.
— Senz'altro no — rispose il signor Duncan. — Purtroppo, quando ci ritroviamo vecchi e soli, abbiamo la tendenza a diventare un fastidio per il prossimo senza rendercene conto. — Fece un sorrisetto triste. — Oso dire che è capitato anche a me, nei primi due anni dopo la morte di mia moglie. In certi momenti non sopportiamo di parlare con la gente, e in altri non siamo capaci di lasciarla in pace. Mi fa piacere che a voi sia sufficiente sapere come sono andate le cose, e che non ci sia bisogno di assicurarvi che non c'è mai stata da parte sua la volontà di offendere qualcuno. — Mentre tagliava un altro pezzo di spago, guardò Pitt con l'aria di chi vuole scusarsi. — Le giovani signorine possono interpretare male che si possa aver piacere della loro compagnia, anche se a volte un po' di ragione ce l'hanno.
Pitt, riluttante, affrontò l'argomento delle sedute spiritiche.
— Oh, santo cielo, una vera sfortuna! — L'espressione del signor Duncan diventò allarmata. — Ho paura che lui abbia opinioni molto decise contro quel genere di cose. Era già qui al villaggio, quand'è successa una tragedia, e ormai sono passati un bel po' di anni. Una giovane donna aveva avuto un bambino, ma non era sposata, capite? Penelope, si chiamava. Il bambino è morto quasi subito, povera creatura. Penelope era fuori di sé per il dolore ed è andata da una medium, la quale le ha promesso di metterla in contatto con il suo piccino morto. — Sospirò. — Naturalmente era un'imbrogliona e la povera Penelope, quando l'ha scoperto, è letteralmente impazzita per il dispiacere. A quanto sembra, credeva di aver parlato con la sua creatura, e si era sentita dire che adesso si trovava in un posto molto migliore. Questo l'aveva confortata. Poi il fatto di essere stata ingannata le ha fatto perdere completamente il cervello. E purtroppo si è tolta la vita. È stato veramente terribile. Il povero Francis aveva visto tutto, ma senza poter impedire che succedesse. Allora si è dato da fare perché il bambino venisse seppellito nel modo più degno, però la sua era una causa persa, in quanto era illegittimo e non battezzato. Per tutta questa storia si è anche offeso con il sacerdote locale e ha continuato per parecchio tempo a non perdonarglielo. Lui avrebbe voluto battezzare il bambino indipendentemente da tutto il resto, e accollarsi le conseguenze. Ma non aveva il potere di farlo. Comunque ha cercato di consolare la madre come meglio poteva. Lui sapeva che quella sciagurata medium era una truffatrice, ma Penelope si rifiutava di dargli retta. Cercava disperatamente di convincersi che la sua creatura continuava ancora a esistere in qualche posto. Anche lei era ancora quasi una ragazzina. Da quel giorno Francis ha sempre manifestato un odio vero e proprio contro qualsiasi attività spiritistica. Anzi, di tanto in tanto ha lanciato perfino qualcosa di molto simile a una crociata.
— Sì — disse Pitt mentre la compassione gli faceva provare una profonda pena. — Posso capire i suoi sentimenti in proposito. — Poi lo ringraziò e lo lasciò. Non c'era nient'altro da poter sapere dagli abitanti del luogo. Era venuto il momento di affrontare di nuovo Wray e insistere con lui perché gli fornisse un resoconto più preciso di ciò che aveva fatto e dov'era stato le sere in cui sull'agenda degli appuntamenti di Maude Lamont risultava registrata la sua presenza in Southampton Row.
In Udney Road, Mary Ann lo fece entrare senza domandargli il motivo della sua visita, e Wray lo accolse presentandosi sulla porta dello studio con un sorriso. Non gli domandò neanche se sarebbe rimasto per il tè, ma spedì subito la ragazza a prepararlo, con tartine, panini dolci e marmellata di prugne regina claudia.
— L'anno scorso il raccolto è stato eccellente — disse in tono pieno di entusiasmo rientrando nel suo studio, dove precedette Pitt e gli offrì una poltrona. Sbatté le palpebre e abbassò la voce, che si fece improvvisamente dolcissima. — Mia moglie era straordinariamente brava a fare le marmellate. E quella di prugne regina claudia era una delle sue preferite.
Pitt si sentiva profondamente infelice ed era convinto che il senso di colpa che provava gli si dovesse leggere in faccia senza difficoltà. Era triste dover fare le sue indagini approfittando proprio del dolore di un uomo che mostrava tanto chiaramente simpatia e fiducia verso di lui. — Forse farei meglio a non prenderla — disse, a disagio. — Non preferite tenerla per... — Ma si accorse di non essere sicuro di quello che voleva dire.
— No, no — gli assicurò Wray. — Assolutamente. Ho paura che quella di lamponi sia finita. Mi sono viziato un pochino. Invece sarei felice di dividere questa con voi. — Poi sorrise. — Adesso raccontatemi perché siete qui e come state, signor Pitt. Avete trovato il disgraziato che andava a consultare la medium assassinata?
— No... non l'ho trovato. Ed è importante che io lo trovi. Può darsi che sappia qualcosa che potrebbe rendere più facile chiarire il motivo per cui quella donna è stata uccisa, e da chi.
— Oh, poveri noi. — Il professore scrollò la testa. — È molto triste, davvero. Da cose simili nasce sempre il male, sapete? Non dovremmo immischiarci. Perché farlo significa risvegliare il demonio che si approfitta delle nostre debolezze. E non dubitatene mai: è un invito, quello, che lui non si lascerà sfuggire.
Pitt si sentì imbarazzato. Era un campo del pensiero che non aveva mai preso in considerazione. Eppure il suo ospite ne parlava in modo terribilmente serio. Nessuno, osservando la passione rivelata dalla sua faccia, avrebbe potuto fraintenderlo.
Alla fine scelse un compromesso. — Sembra possibile che quella persona avesse l'abitudine di praticare un male molto umano, e precisamente quello del ricatto.
— Una specie di assassinio morale — disse Wray a voce bassa. — Povera donna. Ha perduto una gran parte di sé, temo. — Bussarono, e questo gli impedì di aggiungere qualcosa. Mary Ann si presentò con il vassoio del tè talmente carico di piatti da apparire in equilibrio precario, e Pitt si alzò per aiutarla, nel caso che, per reggerlo e aprire contemporaneamente la porta, lo lasciasse cadere.
— Grazie, signore — disse lei impacciata, diventando un po' rossa. — Ma non dovevate.
— Per carità, nessun fastidio.
Lei gli rivolse un piccolo inchino e corse fuori lasciando che ci pensasse il padrone a versare il tè. E lui, mentre se ne occupava, sorrise a Pitt. — Una brava ragazza. Fa tutto quello che può per occuparsi di me.
Mangiarono gustando in silenzio, per parecchi minuti, il tè caldo e fragrante, le tartine squisite e i panini dolci, freschi, che si sbriciolavano a toccarli, abbondantemente spalmati di burro e della marmellata, che aveva un ottimo sapore.
Pitt ne addentò uno e alzò gli occhi. Wray lo stava osservando, curioso di vedere se la marmellata di prugne regina claudia gli piacesse davvero, ma senza avere il coraggio di domandarglielo.
— Mi duole che, finita questa, non ce ne sia più — disse Pitt a bocca piena. — Non riuscirete più ad averne di altrettanto buona. Questa è delicata e insieme corposa: occorre metterci la quantità giusta di zucchero, perché se è troppo dolce rischia di guastare il sapore del frutto. — Respirò a fondo e pensò a Charlotte, a Voisey e a tutto quello che poteva perdere... — Mia moglie fa la miglior marmellata di arance che io abbia mai assaggiato — disse ancora, e rimase inorridito accorgendosi di avere la voce rauca per la commozione.
— Davvero? — Wray adesso lottava con se stesso per controllarsi, per parlare con un tono il più possibile normale. Erano due uomini che si conoscevano appena, e stavano prendendo insieme il tè del pomeriggio, parlando di marmellate e delle donne che amavano più profondamente di quanto potessero esprimere a parole. Adesso le lacrime erano salite agli occhi dell'uomo anziano, e presto gli scivolarono lungo le guance.
Pitt inghiottì l'ultimo boccone di pane e marmellata.
Wray chinò la testa. Le sue spalle furono scosse da un tremito che a poco a poco lo colse in tutto il corpo.
Pitt si alzò senza dire niente, girò intorno al tavolo e sedette di sbieco sul bracciolo della poltrona del vecchio signore. Un po' incerto, gli posò una mano sulla spalla, accorgendosi di quanto fosse fragile, e allora allungò il braccio e lo strinse piano contro di sé, lasciandolo piangere. Forse era la prima volta, dalla morte della moglie, che Wray si concedeva un simile abbandono.
Non avrebbe saputo dire quanto tempo rimasero seduti così; finalmente il professore cessò di tremare e si mise di nuovo dritto.
Bisognava salvargli tutta la sua dignità. Senza guardarlo Pitt si alzò in piedi e uscì dalla portafinestra nel giardino. Gli avrebbe concesso dieci minuti per riacquistare tutto il controllo di sé, poi avrebbero potuto fingere che non fosse successo niente.
Era fermo con la faccia rivolta verso la strada quando vide la carrozza che arrivava. Era un veicolo splendido, con eccellenti cavalli e il cocchiere in livrea. Con sua grande sorpresa si fermò davanti al piccolo cancello e ne scese una donna che portava un cestino coperto con un tovagliolo. Era una di quelle persone che non passano mai inosservate, tanto è singolare il loro aspetto, con i capelli scuri e una faccia che non si poteva dire bella di primo acchito, ma che rivelava un'intelligenza e una personalità formidabili. Camminava con grazia insolita, e sembrò che si accorgesse di lui soltanto quando la sua mano si posò sul paletto.
— Buongiorno — disse tranquillamente. — Il signor Wray è in casa?
— Sì, ma sta poco bene — rispose Pitt. — Credo che gli farà piacere vedervi, ma per una questione di cortesia penso che dovremmo concedergli qualche minuto perché si riprenda, signora...
— Cavendish — rispose lei. Il suo sguardo era molto diretto, deciso. — Conosco il suo dottore, e voi non lo siete. Come vi chiamate, signore?
— Il mio nome è Pitt. Sono soltanto un amico.
— Dovremmo chiamare il suo dottore? Posso mandare immediatamente la mia carrozza. — La donna si girò. — Joseph! Il dottor Trent...
— Non è necessario — disse subito Pitt. — Pochi minuti e starà molto meglio.
Lei aveva un'aria dubbiosa.
— Vi prego, signora Cavendish. Se siete un'amica, la vostra compagnia potrebbe essere molto utile.
— Gli ho portato qualche libro — gli disse con un lieve sorriso. — E qualche piccola crostata con il ripieno di marmellata di frutta. Oh, non di prugne regina claudia... questa è di comunissimi lamponi.
— Gentile da parte vostra — disse lui, in tono pieno di sincerità.
— Gli sono molto affezionata. Come ero affezionata a sua moglie.
Rimasero fermi sotto il sole ancora per qualche minuto, poi la portafinestra si aprì e Wray venne fuori. Pareva che si fosse calmato quasi completamente. Diede l'impressione di essere un po' sconcertato dalla presenza della signora Cavendish, ma forse era soltanto imbarazzato che venisse a trovarlo proprio in un momento simile, quand'era appena riuscito a controllare la commozione. Evitò di incrociare lo sguardo di Pitt.
— Mia cara Octavia — esclamò con calore. — Come siete gentile a venire a trovarmi di nuovo, e così presto! Siete veramente molto generosa.
Lei gli sorrise con affetto. — Penso molto spesso a voi — rispose. — Noi tutti vi siamo enormemente affezionati. — Voltò le spalle, come se volesse escludere Pitt da quella conversazione, e tolse il tovagliolo dal cestino. — Ho trovato qualche libro che forse vi interesserà leggere, e qui ci sono anche delle crostatine di frutta. Mi auguro che le gradirete.
— Che pensiero gentile — disse lui sforzandosi di darle l'impressione che la sua visita e il regalo gli facessero piacere. — Volete entrare a prendere un po' di tè?
Lei accettò, e dopo un'occhiata penetrante a Pitt, s'incamminò verso la portafinestra.
Wray si rivolse a Pitt. — Volete rientrare anche voi? Siete più che il benvenuto. Non ho l'impressione di avervi aiutato molto, anche se confesso di non avere la minima idea di come potrei farlo.
— Nemmeno io — rispose Pitt prima di rendersi conto che in queste parole la propria sconfitta era implicita. — E la vostra ospitalità è stata squisita. Non la dimenticherò.
— Vi ringrazio — disse Wray, mentre la commozione affiorava di nuovo in lui. Ma prima di lasciarsene cogliere completamente, si voltò e seguì la signora Cavendish, rientrando in casa dopo di lei.
Pitt s'incamminò in mezzo ai fiori verso il piccolo cancello e uscì in Udney Road.
11
L'aria che scendeva dalla brughiera era dolce e faceva tremare appena le foglie del melo nel giardino del cottage; il silenzio e il buio erano inviolati. Avrebbe dovuto essere la notte perfetta per un sonno profondo, tranquillo.
Invece Charlotte era a letto, sveglia, consapevole fino in fondo della propria solitudine, le orecchie tese come se si aspettasse di sentire un suono, un passo in qualche posto, una pietra smossa che qualcosa aveva disturbato sulla strada sterrata al di là del cancello, forse dalle ruote oppure più probabilmente soltanto lo zoccolo di un cavallo. E quando alla fine lo sentì, un rumore vero e autentico, fu abbastanza perché una vampata di fuoco le scorresse nel sangue. Scostò le coperte e coprì di corsa i tre passi appena che la separavano dalla finestra. Scrutò fuori. Al lume delle stelle non individuò niente più di una diversa profondità nelle ombre. Avrebbe potuto esserci chiunque senza che lei riuscisse a vederlo.
Rimase fino a quando cominciarono a farle male gli occhi, ma non ci fu più nessun movimento, solamente un altro rumore lieve, poco più di un fruscio. Una volpe? Un gatto randagio, oppure un uccello di quelli che vanno a caccia di notte? La sera del giorno prima aveva visto un gufo, al crepuscolo.
Tornò a letto, senza far rumore e continuò a rimanere sveglia, in attesa.
Anche Emily si stava accorgendo di non riuscire a prender sonno ma era un senso di colpa, quello che la disturbava, e una decisione che non voleva prendere e che ormai capiva inevitabile.
Fra tutte le possibilità che aveva preso in considerazione alla radice della paura che ossessionava Rose la pazzia non era mai stata fra queste. Mai aveva immaginato qualcosa di tanto terribile. Non aveva il coraggio di rivelarlo a Pitt, ma in cuor suo sapeva benissimo quello che doveva fare. Sì gingillò con l'idea di andare da lui in mattinata, più o meno un'oretta dopo la colazione, quando avesse avuto il tempo di calmarsi e riacquistare tutto il proprio autocontrollo, pensare a quello che voleva esattamente dire e a come formularlo. D'altra parte l'onestà la costringeva a ricordare che, se avesse aspettato, c'era il rischio di non trovare più in casa suo cognato. Quindi si alzò alle sei, quando la cameriera le portò la solita tazza di tè bollente, che contribuì a darle più coraggio per affrontare quella giornata. Si vestì e alle sette e mezzo era già fuori.
Pitt rimase stupefatto quando la vide, e per un momento rimase immobile nel vano della porta di Keppel Street in maniche di camicia, senza scarpe, i capelli più arruffati che mai. — Emily! È successo qualcosa? Stai bene?
— Sì, qualcosa è successo — rispose lei. — E non sono del tutto sicura se mi sentirò bene, e soprattutto se mi convincerò di aver fatto la cosa giusta.
Lui si tirò da parte, invitandola a entrare, e lasciò che lo precedesse verso la cucina.
— Tè? — domandò indicando la teiera sul tavolo e il bricco che fischiettava sommessamente sul fornello. — Toast?
— No, grazie.
Pitt tornò a sedersi al suo posto, ignorando il tè che gli rimaneva ancora nella tazza. — Di che si tratta?
Emily alzò gli occhi e lo fissò. — Ieri sera ho visto Rose Serracold e le ho parlato come se fossimo a quattr'occhi. Qualche volta può succedere, a un grande ricevimento, e riesci a trovarti isolata in tutto quel frastuono, così nessuno può sentire quello che dici. Mi sono imposta quasi con la prepotenza per farmi raccontare il motivo per cui andava da Maude Lamont.
Pitt aspettò.
— Ha paura che suo padre sia morto pazzo. — Proseguì lei. S'interruppe bruscamente perché aveva notato il suo stupore e poi, subito, l'orrore. — È terrorizzata perché potrebbe aver ereditato anche lei la stessa tara e voleva chiedere allo spirito della madre se era vero che lui soffrisse di insanità mentale. Ma non ne ha avuta l'opportunità. Maude Lamont è morta troppo presto.
— Capisco. — Era rimasto immobile al suo posto e la stava fissando. — Possiamo domandare al generale Kingsley di confermarci che, perlomeno fino all'ora in cui Rose è andata via, non era ancora riuscita a ottenere il contatto con sua madre.
Emily rimase sconcertata. — Pensi che potrebbe essere tornata in seguito per una seduta privata?
— Qualcuno è tornato oppure è rimasto indietro, quale che ne sia stato il motivo.
— Rose no! — disse Emily con maggior convinzione di quanta ne sentisse in realtà. — Lei la voleva viva. — Si sporse attraverso il tavolo. — È ancora talmente impaurita che non riesce quasi a controllarsi, Thomas. Non lo sa ancora. Ed è a caccia di un'altra medium per poter continuare la sua ricerca.
— Oppure Maude Lamont le ha detto qualcosa che lei non vuole credere — obiettò Pitt gentilmente. — Ed è terrorizzata che la cosa possa venire scoperta.
Emily lo guardò augurandosi che non la comprendesse più così bene, che non leggesse dentro di lei quel turbinio di pensieri che avrebbe preferito tenere nascosti. D'altra parte, se fosse riuscita a ingannarlo, non le sarebbe stato di nessun conforto. E quindi, mentre era indispettita per le pressioni di Pitt che la costringeva a raccontargli più di quanto volesse, si sentiva anche vagamente consolata all'idea di non potergli rifilare un'altra mezza risposta perché se ne accontentasse. Anzi, le occorreva che Thomas fosse più intelligente e furbo di lei, perché le mancavano i poteri di aiutare Rose, e a dir la verità non sapeva neanche in che modo offrirle il proprio aiuto. C'era il rischio di peggiorare la situazione. Adesso si rendeva conto di non essere assolutamente sicura che Rose non fosse toccata anche lei da un minimo di insanità mentale e che, colta dal panico, avesse pensato che Maude Lamont conosceva il suo segreto e che avrebbe compromesso prima lei e poi Aubrey, danneggiando la sua posizione politica.
— Mi ha giurato che non è stata lei a ucciderla — disse ad alta voce.
— E tu vuoi crederle — concluse Pitt. — Spero che abbia ragione. Ma qualcuno l'ha uccisa. Io non voglio che sia stato neanche il generale Kingsley.
— La persona anonima. Continui ancora a non sapere chi è... vero?
— No.
Lei lo osservò. C'era qualcosa nei suoi occhi che rivelava un dolore e un'offesa di carattere privato. Non le mentiva, ma non era nemmeno disposto a rivelarle quel po' che sapeva. — Ti ringrazio — le disse. — Rose ti ha raccontato, per caso, se c'è qualcun altro al corrente di questa sua paura? Aubrey, magari?
— No. Aubrey non lo sa, e se stai pensando che Maude Lamont la ricattasse, non ci credo.
Lui alzò lievemente le spalle. — Forse non lo sapeva ancora — disse in tono asciutto. — Qualcuno può aver offerto una fortunatissima via di scampo a Rose.
— Aubrey non lo sa, Thomas. Non sa proprio niente.
— Probabilmente no.
Pitt l'accompagnò alla porta, e quando furono fuori accettò che lo portasse con la sua carrozza fino a Oxford Street, dove lei svoltò a ovest per tornare a casa. Lui invece proseguì in direzione sud, verso gli archivi del ministero della Guerra per riprendere le ricerche sul motivo che poteva aver costretto il generale Kingsley ad attaccare il partito politico nei cui valori aveva sempre creduto. Impossibile non pensare che si trattasse di un fatto collegato alla morte del figlio o a qualche azione di guerra appena precedente.
Era lì da più di un'ora a leggere un'arida relazione dopo l'altra quando si rese conto di non avere ancora una conoscenza chiara dell'uomo, e che il profluvio di parole formali dei rapporti ufficiali non glielo rivelava affatto. Lì negli archivi non c'era più niente. E se mai c'era stato qualcosa, adesso avevano provveduto a una copertura. Comunque copiò ugualmente i nomi della maggior parte degli altri ufficiali e soldati che erano stati a Mfolozi, in modo da poter sapere se ce n'era qualcuno a Londra che fosse disposto a raccontargli qualcosa di più di quel che aveva sotto gli occhi. Poi ringraziò l'impiegato e uscì.
Aveva già dato al vetturino l'indirizzo del primo uomo di quella lista quando cambiò idea e gli diede quello di lady Vespasia Cumming-Gould. Forse era un'impertinenza presentarsi senza essere stato invitato, ma non l'aveva mai trovata poco disposta ad aiutarlo, quando c'era di mezzo qualcuna delle cause in cui credeva. E dopo Whitechapel e tutto quello che avevano condiviso in quell'occasione, si era venuto a creare fra loro un legame diverso da qualsiasi altro. Quindi fu con una certa fiducia che si presentò alla sua porta di casa e disse alla cameriera che venne ad aprirgli di voler parlare con lady Vespasia per una questione piuttosto urgente.
Fu lasciato nel salottino in cui si ricevevano abitualmente le visite di mattina. Ma soltanto per pochi minuti, perché venne fatto passare nel salotto dove Vespasia stava abitualmente, con le finestre che si aprivano sul giardino, sempre pieno di pace e di una morbida luce in qualsiasi stagione e con qualunque tempo.
Vespasia indossava un vestito di una sfumatura del colore rosato dei fiori del trifoglio, talmente tenue che sarebbe stato difficile descriverlo con esattezza, e le solite perle al collo. Lo salutò con un sorriso.
— Buongiorno, Thomas. Che piacere vederti. — Lo scrutò. — Ti stavo quasi aspettando da quando Emily è venuta a trovarmi. O forse sarebbe più esatto dire che quasi lo speravo. Voisey si è candidato al Parlamento. — Non riusciva neanche a dire il suo nome senza che le vibrasse la voce. Non poteva non ricordare Mario Corena e il sacrificio che era tanto costato a Voisey.
— Sì, lo so — disse lui piano. — Ecco perché mi trovo qui a Londra, invece di essere con Charlotte in campagna.
— Sono contenta che lei sia fuori città. Ma cosa credi di poter fare, Thomas? Non so molto sul conto di Victor Narraway. Ho domandato, ma le persone con le quali ho parlato sanno poco anche loro oppure non sono preparate a dirmelo. Stai molto attento a non fidarti di lui più di quanto la saggezza ti detta. Non partire dal presupposto che abbia per te la stessa preoccupazione e la lealtà del capitano Cornwallis. Lui non è un uomo schietto, diretto...
— Voi questo lo sapete? — disse Pitt, interrompendola senza averne l'intenzione.
Lei ebbe l'ombra di un sorriso, un movimento appena percettibile delle labbra. — Mio caro Thomas, il reparto speciale è studiato e creato per catturare anarchici, gente che prepara e mette bombe, uomini di ogni specie, e immagino anche qualche donna, che progettano in segreto di rovesciare il nostro governo. Riesci a immaginare John Cornwallis come organizzatore di forze di polizia che cerchino di prevenire tutto questo?
— No. Lui è coraggioso e profondamente onesto. Si aspetterebbe di averli davanti, tanto vicini da poterli guardare in faccia, prima di sparare.
— Li inviterebbe ad arrendersi — lo corresse lei. — Il reparto speciale esige un uomo ambiguo, d'ingegno sottile, pieno di fantasia, un uomo che vive nell'ombra e mai in pubblico. Non dimenticartene.
In quel momento, anche se c'era il sole, Pitt si accorse di avere freddo. — Credo che il generale Kingsley venisse ricattato da Maude Lamont... o almeno questa è l'impressione che dava... E se fosse una facciata, invece?
— Per denaro? — Vespasia sembrava meravigliata.
— È possibile, ma più probabilmente per attaccare Aubrey Serracold sui giornali, puntando sulla sua inesperienza e immaginando che potesse reagire più facilmente nel modo sbagliato, e danneggiarsi ulteriormente.
— Oh, santo cielo!
— Uno di loro l'ha uccisa — continuò Pitt. — Rose Serracold, il generale Kingsley, oppure l'uomo indicato nella sua agenda da un piccolo disegno vagamente simile a una "f" minuscola, a rovescio, con un semicerchio al di sopra.
— Curioso. E tu hai una vaga idea di chi possa essere?
— Il sovrintendente Wetron è persuaso che si tratti di un anziano professore di teologia che vive a Teddington. A dir la verità non credo che sia stato lui, ma non ne sono sicuro. Ha perduto la moglie di recente ed è ancora molto addolorato. Manifesta un vero e proprio livore contro medium e spiritisti. È persuaso che siano l'espressione del male e che agiscano in modo nettamente opposto ai comandamenti divini.
— E tu hai paura che quest'uomo, sconvolto per il dolore, possa essersi messo in testa che fosse opportuno porre fine in permanenza ai suoi interventi... Oh, Thomas caro, sei troppo di buon cuore, per uno che fa la tua professione. Ci sono casi in cui uomini d'immensa bontà possono commettere gli errori più terribili. A volte ciascuno di noi vede il mondo in un modo così diverso dagli altri che non sembra stiamo parlando della stessa cosa. Non ti è mai capitato di domandare a una mezza dozzina di testimoni di descriverti un fatto che è successo in strada, o perfino i connotati di una persona, e di ricevere risposte talmente contraddittorie, anche se date con la più totale sincerità, che finiscono per annullarsi l'una con l'altra?
— Sì, certo che mi è capitato. Ma con tutto ciò sono sempre dell'opinione che lui non abbia ucciso Maude Lamont.
— Tu non vuoi accettarlo. Ma cosa posso fare io, oltre a prestarti ascolto?
— Devo scoprire chi ha ucciso Maude Lamont, anche se sarebbe compito di Tellman, perché le persone che lei ricattava sono coinvolte nell'impegno di screditare Serracold...
Tristezza e collera affiorarono negli occhi di Vespasia. — Ci sono già riusciti, e proprio con l'aiuto di quel poveretto. Dovrai fare un miracolo, se cerchi di salvarlo adesso. — Poi si rasserenò. — A meno che, naturalmente, tu possa dimostrare che Voisey si è messo di mezzo? Se è coinvolto in qualche modo con l'omicidio della medium... — Tacque per un momento. — Penso che sarebbe un colpo di fortuna, ma è al di fuori della nostra portata. Non sarebbe così stupido. È furbo e intelligente. Ma sarà di sicuro dietro il ricatto, e tutto dipende soltanto dalla sua posizione. Bisognerebbe capire fino a che punto ne ha preso le distanze. Sei in grado di provarlo?
Pitt si protese leggermente in avanti. — Forse sì. — Vide che gli occhi di Vespasia s'illuminavano e capì che stava pensando di nuovo a Mario Corena. Non riusciva più a piangere. Aveva già versato tutte le sue lacrime per lui, prima a Roma nel '48 e poi a Londra soltanto poche settimane prima. Ma la sua perdita la faceva ancora soffrire crudelmente. Forse l'avrebbe fatta soffrire per sempre. — Mi occorre sapere il motivo per cui Kingsley veniva ricattato — continuò. — Credo che abbia qualcosa a che vedere con la morte di suo figlio.
Le riferì concisamente tutto quanto era venuto a sapere, prima su Kingsley stesso e la sua parte nelle guerre con gli zulu, poi sull'imboscata a Mfolozi, subito dopo la prova di eroismo data a Rorke's Drift.
— Vedo — disse lei quando Pitt ebbe finito. — È molto difficile seguire la strada di un padre o di un fratello che sono stati celebri e hanno avuto successo agli occhi del mondo, in modo particolare quando sono stati un esempio di coraggio in campo militare. Molti giovani uomini hanno preferito sacrificare la vita inutilmente, per non far pensare che non erano stati all'altezza di quello che ci si aspettava da loro.
La sua voce era triste, incupita, e le memorie ben precise e dolorose si leggevano nei suoi occhi. Forse stava pensando alla Crimea, o a Balaclava, oppure a Rorke's Drift, o all'ammutinamento in India... e Dio solo sapeva a chissà quante altre guerre, e a quanti lutti. I suoi ricordi potevano risalire fino a quando era ancora una ragazzina, a Waterloo.
— Zia Vespasia...
Lei tornò al presente con un sussulto. — Sì — gli confermò. — Per me non dovrebbe essere troppo difficile venire a sapere da qualche persona amica cos'è realmente successo al ragazzo Kingsley a Mfolozi, ma credo che abbia ben poca importanza... salvo che per suo padre. Non c'è dubbio che per ricattarlo gli abbiano fatto balenare la possibilità che la sua sia stata la morte di un vile. Non era necessario che si trattasse di un fatto assodato.
Pitt pensò alle spalle curve e alla faccia sofferente di Kingsley. Ci voleva un tipo particolare di sadismo per torturare in tal modo un uomo allo scopo di ricavarne un vantaggio.
— Naturalmente è possibile che l'azione di guerra in cui ha trovato la morte sia poco chiara, o per mancanza di notizie precise la verità non si possa mai sapere, oppure che una bugia non possa essere smascherata — continuò Vespasia. — Ma farò quello che posso per scoprirlo, e se questo può facilitarti le cose, provvederò personalmente a informare il generale Kingsley.
— Grazie.
— Comunque tutto questo non è di grande utilità per cercare il legame fra il ricatto e Voisey. Che speranza hai di scoprire l'identità di questa terza persona? Parto dal presupposto che tu sappia che è un uomo, vero? Ne parli al maschile.
— Sì. È un uomo che ha già passato da un po' la mezz'età, con i capelli biondi o grigi, statura e corporatura medie. E sembra molto istruito.
Vespasia aveva aggrottato le sopracciglia.
— Cosa c'è? — le domandò.
I suoi occhi grigio-argento erano turbati, le sue spalle contratte per chissà quale tensione interiore. — Ci ho riflettuto molto, Thomas, e continuo a non capire perché sei stato allontanato una seconda volta dal comando da Bow Street.
— Voisey! — disse lui, con una tale amarezza da rimanerne sconcertato.
— No — mormorò Vespasia. — Per quanto possa odiarti non agirebbe mai contro il proprio interesse. È quella la sua forza più grande. Il suo cervello governa sempre il suo cuore. — Adesso fissava il vuoto davanti a sé. — E non è nel suo interesse averti nel reparto speciale. Fra l'altro, deve aver saputo che tu saresti tornato, se ti avessero allontanato di nuovo da Bow Street. Nella polizia, a meno che lui non commetta qualche atto criminale, tu non hai nessuna giurisdizione sui suoi affari. Ma nel reparto speciale i tuoi incarichi sono molto più fluidi. È un reparto speciale segreto, e non deve rispondere di niente al pubblico. — Si voltò a guardarlo. — Tieni sempre i tuoi nemici dove puoi vederli. Lui non è tanto stupido da dimenticarsene.
— E allora perché l'avrebbe fatto? — le domandò Pitt, confuso dalla sua logica.
— Forse non è stato lui.
— Ma chi? Chi altri, all'infuori della Confraternita, avrebbe il potere di manovrare dietro le spalle della Regina e disfare quello che lei aveva fatto?
— Thomas, hai pensato seriamente all'effetto della nomina a baronetto di Voisey sulla Confraternita, e alla ragione per cui gli è stata accordata? — gli domandò Vespasia. — Ci sono pochi idealisti fra loro. Ma hai mai considerato che avrebbe potuto mandare in pezzi il potere all'interno di essa? Che un leader avversario potrebbe aver assunto una posizione di privilegio portando via con sé quel tanto dell'antica Confraternita sufficiente a formarne una nuova?
Pitt non ci aveva pensato, e quando quell'idea prese forma nel suo cervello, vide ogni sorta di possibilità, tutte pericolose per l'Inghilterra, ma anche per Voisey medesimo.
Vespasia glielo lesse in faccia. — Non rallegrarti troppo — lo mise in guardia. — Se ho ragione io, in questo caso il rivale è anche lui potente, e non è amico tuo più di quanto lo sia Voisey. Non sempre è vero che il nemico del mio nemico è mio amico. Non è possibile che sia stato lui a farti allontanare di nuovo da Bow Street perché è persuaso che, nel reparto speciale, sarai ancora più di prima una spina nel fianco di Voisey e magari, col tempo, riuscirai perfino ad annientarlo per il suo comodo? Oppure per lui è più importante avere il sovrintendente Wetron al comando di Bow Street, invece di te?
— Wetron nella Confraternita?
— Perché no?
Pitt stava ancora considerando tutto quello che poteva essere implicito in un fatto del genere quando sulla porta si presentò la cameriera, visibilmente allarmata.
— Sì? — disse Vespasia.
— Milady, c'è un certo signor Narraway che chiede di parlare con il signor Pitt. Ha detto che avrebbe aspettato ma che dovevo avvertirvi immediatamente.
— Davvero? — Vespasia si mise più rigida e impettita al suo posto. — Allora farai meglio a pregarlo di passare subito qui in salotto.
— Sì, milady.
Pitt la guardò negli occhi. Cento idee passarono fra loro in un lampo, tutte tacite, tutte sfiorate dalla paura.
Narraway si presentò un minuto più tardi. La sua faccia era una maschera di desolazione e di sconfitta. Benché si tenesse ben eretto sulla persona appariva avvilito.
Pitt si alzò in piedi molto lentamente, accorgendosi che gli tremavano le gambe. Aveva il cervello in tumulto, colmo di pensieri di orrore. Il più atroce e persistente, quello che annientava tutti gli altri, era che fosse successo qualcosa a Charlotte.
— Buongiorno, signor Narraway — disse Vespasia, gelida. — Accomodatevi, prego, e informateci del motivo che vi porta a parlare con Thomas qui in casa mia.
Lui rimase in piedi. — Mi spiace, lady Vespasia — disse con voce fievole, dandole appena uno sguardo prima di volgersi a Pitt. — Francis Wray è stato trovato morto stamattina.
Per un attimo Pitt non riuscì a cogliere completamente il significato della notizia. Si sentiva la testa vuota, i sensi smarriti. Non aveva niente a che fare con Charlotte, dunque. Lei era salva! La cosa orribile non era accaduta. — Mi spiace — disse ad alta voce. Aveva provato simpatia per Wray.
Niente era cambiato sulla faccia di Narraway, salvo che adesso un muscolo gli pulsava nervosamente vicino alla bocca. — A quanto pare, è stato un suicidio — disse con voce rauca. — Sembra che abbia preso del veleno a un'ora imprecisata di ieri sera. La domestica l'ha trovato stamattina.
— Suicidio! — Pitt rimase sconvolto. Si rifiutava di crederci. Non poteva immaginare il vecchio professore che commetteva qualcosa da lui sempre considerato tanto contrario alla volontà di un Dio nel quale riponeva tutta la sua fiducia, l'unica via che gli si apriva per incontrare di nuovo le persone che aveva amato tanto. — No... Dev'esserci un'altra risposta — protestò, e la sua voce era diventata aspra.
Narraway sembrava spazientito. — Ha lasciato un messaggio — disse con amarezza. — In una poesia di Matthew Arnold. — E continuò, senza aspettare, citandola a memoria. — Scivola nel tuo stretto letto, / Scivola dentro, e che niente più sia detto! / Inutile il tuo attacco! Tutto resta inalterabile. / Tu stesso devi spezzarti infine. / Che la lunga contesa cessi! / Oche sono cigni, e cigni sono oche. / Che facciano come vogliono! / Sono stanchi; meglio rimanere in silenzio.
Gli occhi di Narraway non mollavano Pitt.
— Per gran parte della gente una citazione come questa fa pensare al suicidio — disse piano. — E la sorella di Voisey, Octavia Cavendish, che era amica di Wray da parecchio tempo, ieri pomeriggio è andata a fargli visita proprio mentre voi stavate per lasciarlo. Lo ha trovato agitato e depresso; secondo lei, anzi, aveva appena finito di piangere. E voi avevate fatto qualche indagine sul suo conto nel villaggio.
Octavia Cavendish era la sorella di Voisey, dunque. Pitt era sbalordito.
— Lui piangeva per sua moglie! — protestò, ma si accorse di avere la voce che vibrava di disperazione. Era la verità, ma sembrava una scusa.
Narraway fece segno di sì molto lentamente, le labbra strette, trasformate in una sottile linea dura.
— Questa è la vendetta di Voisey — sussurrò Vespasia. — Non gli importava minimamente di sacrificare un vecchio pur di scaricare su Thomas la colpa di averlo perseguitato e assillato al punto da spingerlo alla morte.
— Io non... — cominciò Pitt, poi tacque osservando l'espressione degli occhi di Vespasia. Era stato Wetron a dargli il nome di Wray e a insinuare che fosse lui l'uomo nascosto dietro il cartiglio. E a dare retta a Tellman era sempre stato Wetron a insistere perché lui tornasse ad approfondire la sua prima inchiesta, altrimenti avrebbe provveduto personalmente a mandare una squadra dei suoi uomini. Ed era sicurissimo, perché lo conosceva bene, che lui sarebbe tornato a Teddington prima di permettergli di mettere in esecuzione una minaccia del genere. Wetron era con Voisey oppure contro di lui? O tutto gli andava bene ugualmente, purché quadrasse con i propri scopi?
Vespasia si rivolse a Narraway. — Cos'avete intenzione di fare?
— Avete pienamente ragione, milady, è la vendetta di Voisey, questa. E una vendetta raffinata. I giornali crocifiggeranno Pitt. Francis Wray era un uomo profondamente rispettato e amato da tutti quelli che lo conoscevano. Aveva sopportato con coraggio e dignità molti rovesci di fortuna; prima la perdita dei figli, poi quella della moglie. Qualcuno ha già informato i giornali che Pitt lo sospettava di aver consultato Maude Lamont, e poi di averla uccisa.
— Io non ho fatto niente del genere! — disse Pitt con la disperazione nella voce.
— In questo momento è una cosa irrilevante — osservò Narraway, accantonando freddamente la sua risposta. — Stavate cercando di stabilire se il Cartiglio era lui, e il Cartiglio è fra le persone sospette.
— Abbiamo preso il tè del pomeriggio. Con la marmellata di prugne regina claudia. Non gliene era rimasta molta. È stato un gesto di amicizia che l'abbia spartita con me. Abbiamo parlato di amore e della perdita delle persone care. Ecco perché ha pianto.
— Ho i miei dubbi che la signora Cavendish sostenga la stessa versione dei fatti — replicò il sovrintendente.
— E lui non era il Cartiglio. Qualcun altro si è presentato a dichiarare dove si trovava esattamente Wray la sera dell'ultima seduta spiritica di Maude Lamont. A consumare una cena, un po' ritardata rispetto all'ora abituale, con il parroco del posto e sua moglie.
— Credo di avervi già chiesto cosa intendete tare — disse Vespasia con un tono un po' più tagliente.
Lui si volse a guardarla. — Non c'è niente che io possa fare, lady Vespasia. I giornali diranno quello che vogliono, e io non ho i poteri per impedirlo. Loro credono che un vecchio signore innocente, e duramente colpito da un lutto, sia stato perseguitato a morte da un poliziotto troppo zelante. — Guardò Pitt. — Spero che potrete continuare con il vostro lavoro, per quanto adesso sembri inevitabile che Voisey vincerà. Se avete bisogno di qualcuno che vi sia di aiuto, oltre a Tellman, fatemelo sapere. — S'interruppe per qualche istante, la faccia affilata, segnata dal dispiacere. — Me ne duole, Pitt. Nessuno contrasta la Confraternita e rimane vincitore a lungo... perlomeno non ancora. — Si avviò alla porta.
— Buongiorno, lady Vespasia. Chiedo scusa della mia interruzione.
Pitt rimase in silenzio. Nel giro di un quarto d'ora il suo mondo gli era crollato addosso. Charlotte e i bambini erano in salvo, Voisey non aveva idea di dove fossero, ma d'altra parte era possibile che non avesse mai neanche cercato di scoprirlo. La sua vendetta era più sottile e più appropriata di un puro e semplice atto di violenza. Pitt lo aveva rovinato agli occhi dei repubblicani. E in cambio lui aveva rovinato Pitt agli occhi della gente per la quale prestava la sua opera, con la quale lavorava e che, in passato, aveva avuto un'opinione così buona di lui.
— Coraggio, mio caro — disse Vespasia gentilmente, ma le si spezzò la voce. — Penso che tutto diventerà molto difficile, ma noi non smetteremo di combattere. Non consentiremo al male di trionfare senza offrire ciò che abbiamo alla causa di chi lotta contro di esso.
Pitt la osservò. Pareva più fragile, adesso, la schiena dritta, le esili spalle erette, impettita, con gli occhi lucidi di lacrime. No, non sarebbe stato possibile deluderla.
— No, assolutamente no — le confermò, per quanto non avesse neanche la più pallida idea da dove o come iniziare.
12
La mattina del giorno seguente fu una delle peggiori nella vita di Pitt. Era finalmente riuscito ad addormentarsi, pieno di gratitudine al pensiero che Charlotte, i bambini e Gracie fossero sani e salvi. Si svegliò con loro in mente e si scoprì a sorridere. Poi riaffiorarono i ricordi e si rese conto che Francis Wray era morto probabilmente di propria mano, solo e disperato. Eppure poteva ricordarlo con grande lucidità, seduto al tavolo dov'era stato servito il tè, mentre gli chiedeva scusa perché non aveva né torta né marmellata di lamponi da offrirgli e gli presentava invece, con orgoglio, quella, così preziosa, di prugne regina claudia.
Disteso sul dorso, continuava a tenere gli occhi fissi sul soffitto. La casa era avvolta dal silenzio. Erano le sei appena passate, e ci sarebbero volute ancora due ore prima che la signora Brady arrivasse. Non riusciva a trovare nessuno stimolo per alzarsi, ma il cervello non gli permetteva di riprendere sonno. Questa era la vendetta di Voisey, una vendetta perfetta.
Wray era la vittima ideale: un anziano signore colpito da un grave lutto, smemorato, troppo onesto per controllare la lingua quando manifestava l'odio che nutriva per quello che, secondo lui, era un peccato contro Dio, l'evocazione dello spirito dei defunti. Era più che logico pensare che Voisey fosse stato al corrente della storia della giovane donna, Penelope, che aveva perduto il suo bambino e che, nella disperazione in cui era caduta, aveva cercato una medium che l'aveva sfruttata, imbrogliata, le aveva portato via dei soldi e alla fine era stata smascherata. A ben pensarci, tutto era successo proprio nello stesso villaggio in cui viveva sua sorella! Una situazione troppo ideale per lasciarsela sfuggire.
E perché non pensare che fosse stata addirittura Octavia Cavendish a portare in casa di Wray quell'opuscolo che reclamizzava le doti spiritistiche di Maude Lamont? Abbastanza semplice lasciarcelo bene in vista proprio dove Pitt l'avrebbe notato. Tutti e due erano stati come agnelli condotti al macello.
A ogni modo era una stupidaggine rimanere lì, a letto, a pensarci. Si alzò in fretta, si lavò, si fece la barba e si vestì, e poi scese, sempre circondato da un profondo silenzio, a prepararsi una tazza di tè in cucina. Non aveva voglia di mangiare niente.
Cos'avrebbe detto a Charlotte? Come spiegarle che sulla loro sorte era piombato un altro disastro? Solo a pensarci, si sentiva il cervello ottenebrato dal dolore.
Intanto non si era accorto che il tempo passava e il suo tè era diventato freddo. Allora si alzò, si frugò in tasca per vedere se aveva un po' di spiccioli e uscì a comprare un giornale.
Non erano ancora le otto e c'era uno strillone sull'angolo, lo stesso che trovava lì ogni altra mattina, e che lo conosceva. Ma stavolta non ricevette né un sorriso né un saluto. — Direi che non ne avete bisogno — sbottò il ragazzo in tono truce. — Mi meraviglia, devo proprio dirvelo. Sapevo che eravate un piedipiatti, anche se abitate in un buon quartiere. Ma non vi credevo il tipo che perseguita un vecchio fino alla morte. Sono due pence, prego.
Pitt gli porse il denaro e il ragazzo lo prese senza una parola, quasi voltandogli le spalle. Tornato di nuovo in casa, sedette al tavolo di cucina e aprì il giornale. Non era fra gli articoli delle prime pagine, dove campeggiavano le elezioni, come si era aspettato; ma non appena le ebbe sfogliate, ecco l'articolo a pagina 5, in alto al centro del foglio.
Siamo profondamente dispiaciuti di dare notizia del decesso del reverendo Francis W. Wray, che è stato scoperto cadavere nella sua casa di Teddington ieri. Aveva settantatré anni ed era ancora disperato per la recente scomparsa dell'adorata moglie Eliza. Non lascia figli in quanto sono morti tutti ancora bambini.
La polizia, nella persona di Thomas Pitt, ultimamente sollevato dal comando di Bow Street e senza nessuna autorità riconosciuta, si è recata in visita dal signor Wray parecchie volte, e ha parlato con altri residenti nella zona, facendo molte domande personali e importune sulla vita del defunto, le sue idee religiose e il suo comportamento più recente. Lui ha negato che tutto questo avesse un rapporto con le sue indagini, finora senza successo, relative all'omicidio in Southampton Row, Bloomsbury, della medium e organizzatrice di sedute spiritiche, signorina Maude Lamont.
Dopo gli interrogatori nel villaggio, il signor Pitt è andato a fargli visita, e una persona che si era recata anche lei a casa del signor Wray lo ha trovato in uno stato di afflizione tale da non riuscire a trattenere un prolungato accesso di pianto.
La mattina successiva, Mary Ann Smith, la cameriera del signor Wray, lo ha scoperto morto in poltrona, senza che avesse lasciato una lettera, ma con un libro di versi del defunto Matthew Arnold aperto su una poesia particolare.
Il dottore, subito chiamato, ha manifestato l'opinione che la causa della morte sia stata un veleno, molto probabilmente di quel tipo che danneggia il cuore. Non si esclude che possa trattarsi di qualche sostanza estratta da una della grande varietà di piante che crescono nel giardino del signor Wray, perché è confermato che, dopo la visita del signor Pitt, non ha più lasciato la sua casa.